Provvedimenti ordinari in momenti straordinari
Bisogna proprio continuare a parlarne. Venerdì 11 marzo il Consiglio dei Ministri ha discusso e deliberato gli attesi provvedimenti: il decreto legge e il disegno di legge sulla competitività. I loro contenuti sono stati ampiamente anticipati e dibattuti.
Ci si chiedeva che cosa si sarebbe fatto per i dazi all’importazione dalla Cina richiesti dalla Lega, o per la riduzione delle rendite professionali (i 50 euro di costi notarili per un ciclomotore usato di nessun valore), o come si sarebbero esplicitate le norme di snellimento burocratico a cui il ministro delle attività produttive, Antonio Marzano, attribuisce grande importanza perché l’imprenditore “risparmierà più tempo che potrà così essere dedicato ad accrescere la produttività”. Quest’ultima osservazione mi fa pensare al tempo perduto in imbottigliamenti sull’autostrada, ma una perdita di tempo non assolve l’altra, e quindi anche il ministro Marzano può aver ragione.
Il “Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” (questo il vero nome del provvedimento) contiene molte norme, ognuna delle quali merita di essere approfondita e discussa rispetto al suo fondamento logico, alla sua efficacia operativa, alla sua priorità rispetto a possibili alternative. Cito solamente i dazi, a dimostrazione di una certa confusione tra i vari punti di vista manifestati.
L’Italia, essendo uno Stato membro della Unione Europea, non può istituire dazi unilateralmente ma bisogna che solleciti da Bruxelles l’applicazione di dazi e contingentamenti a tutela da dumping, concorrenza sleale e contraffazione. La contraffazione è poi un reato che può essere combattuto in ogni nazione, e il decreto considera infatti il problema potenziando le dogane e applicando sanzioni a chi acquisti griffe false.
Lo sconcerto che mi prende a leggere le varie disposizioni deriva dal fatto che molte di esse sembrano cose ovvie e ispirate a solo buon senso. Mi chiedo se ci voleva l’acuto manifestarsi di una gravissima crisi economica e produttiva, in incubazione ormai da tanto tempo e per molti settori, perché un Governo prendesse deliberazioni così varie nella ispirazione, nella natura e nella durata dell’impatto economico. Mi pare trattarsi di doverosa ordinaria amministrazione, e mi fa ricordare di anni fa quando una delegazioni di contrabbandieri di Napoli, i conduttori dei famosi motoscafi blu, andarono con le famiglie dal Prefetto a protestare perché l’azione della Guardia di Finanza disturbava il loro lavoro ed essi avevano famiglie da mantenere. Direi che combattere l’illegalità dovrebbe essere, ieri, oggi e domani, compito diuturno e costante di ogni Governo, così come eliminare lacci, laccioli e balzelli corporativi. Si veda l’esempio dei prodotti contraffatti e dei costi notarili inutili e spropositati.
Ma il nocciolo del problema è ben altro, e vi abbiamo accennato nei precedenti articoli di questa rubrica.
Mi metto ora nei panni del piccolo imprenditore, verso il quale sono dichiaratamente e maggiormente destinati questi provvedimenti. Cosa deve fare?
Per prima cosa (ma probabilmente ha già provveduto) conoscere esattamente il suo processo produttivo, i suoi costi, i suoi indici di efficienza, il suo mercato, la sua clientela, i suoi fornitori. Avere piena consapevolezza del suo modo di essere impresa e così essere in grado di perseguire l’eccellenza aziendale. E poi? Si accorge che i suoi clienti gli dimezzano gli ordini perché anch’essi sono in crisi, una crisi generalizzata del suo settore operativo.
Un interessante e vincente schema di organizzazione produttiva italiano è stato quello dei distretti industriali. Un intersecarsi di realtà aziendali e di competenze imprenditoriali in un’area territoriale che copre la filiera produttiva con stretti ed efficaci rapporti di subfornitura. Certo devono esistere delle imprese di maggiori dimensioni in grado di fare da stimolo a questo processo di integrazione e di affrontare con mezzi adeguati (materiali e culturali) il mercato ormai globale. Nel provvedimento sulla competitività si parla di incentivi perché le piccole imprese si fondano a formarne di maggiori. Mah, se fossi un piccolo imprenditore sarei riluttante (per molti motivi, in parte psicologici e in parte oggettivi) a fondermi con altre imprese solo per aumentare le mie dimensioni. Ma sarei disposto a fare alleanze, ad adeguarmi a standard di comportamento, a contribuire finanziariamente a progetti comuni dove siano bene individuati gli scopi, i mezzi, le tappe, le partecipazioni agli sforzi e ai benefici.
Una cooperazione di energie, competenze, vocazioni e passioni professionali e di impresa. Gli organismi territoriali di categoria penso abbiano tutte le qualità necessarie per questa opera sia di stimolo ad individuare progetti, sia di guida e di organizzazione. Per il resto le deliberazioni appena prese mi paiono inadeguate e tardive rispetto alla generalità e gravità dei problemi.
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