Diario di un volontario italiano in Etiopia (8)
Addis Abeba, una città che non stanca
Credo che non potrò mai dimenticare le sensazioni che ho provato nel momento in cui sono arrivato ad Addis Abeba. Pioveva a dirotto, il fango era ovunque, il traffico frenetico ed impazzito, il cielo grigio, non solo a causa dei nuvoloni tipici della stagione (lunga) delle piogge. Non ho esitato a scriverlo in una delle prime mail che inviai: “Questa città è orrenda, ma speriamo bene”.
A distanza di mesi, ho imparato ad adorare questa città, che oggettivamente non è classificabile come bella, ma che mi ha catturato e mi affascina. Con i continui saliscendi, la mutevolezza dei colori, le sue dimensioni, le baracche, la secchezza dei prati che la circondano a km di distanza, i suoi monti, il suo traffico, i suoi contrasti.
È difficile parlarne ma ci voglio provare in queste poche righe. C’è povertà e c’è ricchezza: la gente muore di fame, vive negli slums che si affiancano a sfarzose sedi di ambasciate. Capita assai spesso di vedere gente di colore ai semafori, alla guida di costosissimi 4×4, che si affaccia per fare l’elemosina a giovani ragazzi ciechi, a donne partorienti o a persone deformate dalla poliomielite. Con il classico atteggiamento dei primi della classe, ovviamente. Ad Addis è possibile fare la bella vita: locali, ristoranti lussuosi (abbordabili per un occidentale medio), piscine, barbecue all’aperto la domenica pomeriggio, prostituzione d’alto bordo, palestre, circoli culturali, pasta Barilla sugli scaffali. Ma i marciapiedi sono intasati da ragazzini che puliscono le scarpe, da donne che elemosinano qualsiasi cosa, da anziani imbiancati dagli anni che ti si avvicinano sorridendo ed invocando Dio per un aiuto economico.
Addis è anche banani ed eucalipti, colline che garantiscono degli squarci mozzafiato, colori che cambiano in continuazione con il passare delle ore del giorno o con il mutare delle stagioni. Ogni volta sembra di notare qualcosa di diverso. Ed è forse per questo che la sensazione che ho è quella di una città che non stanca, di una città che ti sorprende sempre come quando di notte si illumina a giorno, per la sue eccentriche luminarie ma soprattutto per la dimensione della luna.
Le strade sono colme di pulmini blu che, facendo slalom tra vacche e pecore, svolgono il ruolo fondamentale di mezzo di trasporto per la stragrande maggioranza degli abitanti della città. Non esiste regola alcuna per strada, anche perché sono loro gli indiscussi padroni delle vie di comunicazione di questa inquinatissima metropoli.
E ad Addis si può incontrare tanta gente che piange, ma anche tanta gente che sorride, e che sorride davvero; gente che ti cerca anche solo per gridarti farenji (bianco) o per stringerti la mano e cercare un contatto. E la cosa più bella è che so che potrei andare avanti ore a raccontare senza smettere e senza annoiarmi mai…
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