Il risparmio, la speculazione e la Borsa
Luigi Spaventa, docente universitario di economia ed ex presidente della Consob (istituzione pubblica di vigilanza sulle società e la Borsa) ha fatto alcune brevi ma pertinenti osservazioni alla trasmissione televisiva Ballarò di martedì 17 gennaio scorso. Il succo era questo: se due alti funzionari di Unipol hanno guadagnato in relazione ad operazioni di borsa 50 milioni di euro, chi li ha persi? La stessa Unipol? Questo si vedrà, e presumo che il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale di Unipol stiano valutando se vi siano le condizioni per una azione di responsabilità.
Altrimenti si torna al nocciolo delle operazioni speculative di borsa: i guadagni degli uni corrispondono alle perdite degli altri.
Nel cercare di capire le cose bisogna resistere alla tentazione di interpretare e scandalizzarsi per valutazioni morali. La morale è una lente personale attraverso cui vedere il mondo, lente per definizione deformante. Non che si debbano trascurare le valutazioni morali, anzi. Ma prima bisogna analizzare e capire i fatti, e poi si potrà giudicare, sia in termini utilitaristici sia in termini morali. Ricordiamo che, basandosi sulle Sacre Scritture fino all’inizio dell’era moderna la Chiesa aveva condannato chi prestava denaro e pretendeva una remunerazione di interessi; questa prassi era considerato grave peccato di usura, indipendentemente dal tasso praticato. Solo gli ebrei potevano prestare denaro chiedendo interessi, tanto erano comunque dannati.
Si possono immaginare gli inconvenienti di questa impostazione per lo sviluppo economico. Chi aveva soldi non era certo indotto a prestarli, bensì a conservarli o spenderli, se non aveva altri bisogni, in lussi e godimenti. Certo c’è la teoria che in ogni caso una spesa metta in moto un circuito economico virtuoso, e comunque da queste disponibilità a spendere dei ricchi ci è rimasta dal passato una apprezzabile dovizia di palazzi, cattedrali, opere d’arte. Ma queste sono osservazioni fatte per inciso: torniamo alla Borsa e cerchiamo di capire.
La Borsa è un mercato: vi si vendono e comprano partecipazioni in imprese e permette che il loro valore sia determinato attraverso la libera e diffusa contrattazione. Permette la costituzione e il finanziamento di imprese anche da parte di chi non disponga di tutti i capitali necessari. In concreto una operazione di questo genere è fatta ricorrendo alla intermediazione di una banca o di un gruppo di banche che garantisca all’emittente il collocamento di tutti i titoli ad un prezzo di emissione prefissato. Le banche poi piazzano i titoli presso la propria clientela e questa è generalmente indotta a sottoscrivere dal concorso di due circostanze: la speranza che i titoli acquistati manifestino presto una quotazione superiore a quella a cui sono stati sottoscritti e la necessità di investire comunque i propri risparmi in qualche collocazione generatrice di reddito. Queste scelte (quali titoli acquistare) certamente sono difficili per la persona non competente o non appassionata e documentata sugli andamenti di borsa. Si affida ai consigli dell’esperto (esperto che spesso ha un diretto interesse alla collocazione dei titoli consigliati) oppure, e sembra logico, sottoscrive quote di un fondo pensando che così si avvalga di una gestione più consapevole. Eppure l’indagine 2005 dell’ufficio studi di Mediobanca esponeva come negli ultimi 20 anni il complesso dei fondi comuni d’investimento (quindi compresi quelli azionari, bilanciati e obbligazionari) abbia avuto un rendimento assoluto inferiore del 62,4% a quello dei titoli di Stato a breve termine. In pratica se, invece di investire i soldi, i risparmiatori li avessero semplicemente parcheggiati nel mercato monetario avrebbero evitato di perdere, in 20 anni, oltre il 60% di interessi.
Da tutte queste considerazioni scaturisce il sospetto che lo scopo della Borsa a cui si è sopra accennato (finanziare le imprese dando modo a chiunque di parteciparvi) trovi attuazione come eccezione, e che la Borsa funga principalmente quale arena per giochi speculativi. La speculazione per definizione non genera ricchezza, ridistribuisce ricchezza. E’ fine a se stessa. Non è un mezzo per realizzare idee imprenditoriali. Una volta che l’impresa abbia emesso dei titoli ed abbia incassato il corrispondente capitale di rischio (azioni, sia pure con sovrapprezzo), oppure abbia incassato l’importo corrispondente ad un proprio debito a scadenza (obbligazioni) l’andamento delle quotazioni non la riguarda più. Riguarda gli azionisti e i sottoscrittori.
Resta il problema sociale più importante: come possono i cittadini che lavorano, e faticano, e generano ricchezza e risparmiano, utilmente investire quanto riescono a mettere da parte? La legge per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari dello scorso dicembre 2005 non mi pare risolva questo problema.
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