Oltre il buio dell’anima

A Palazzo Leone da Perego un omaggio ad aldo Bergolli fra i firmatari del manifesto di Oltre Guernica, nonché aderente all’epopea spazialista

Più si allunga la distanza temporale con le vicende reali e più la ricerca artistica che emerge a partire dalla seconda meta del novecento mostra tutta la sua complessità. Il passaggio concettuale dalla visione all’azione, al gesto performativo…, favorisce la ricerca di più linguaggi espressivi ed evita di tenersi ancorati ad un unico stile pittorico.

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Bergolli e il Suo Tempo 4 di 5

Fare arte ha significato, per gli artisti di quel periodo, esercitare un modo, una maniera, per superare la secolare supremazia dello sguardo.

Ci si rende conto che la destrutturazione dell’immagine cubista,  l’introspezione psicologica surrealista o la negazione totale dell’arte dadaista non  sono argomenti sufficienti a dare risposte e forme alla violenza, al senso di morte e di abbandono che le guerre, durante tutto il novecento, avevano portato con sé.

Ecco perché più che di visione sul mondo o sugli aspetti attorno alle cose e ai fatti del mondo, l’uomo sente la forte necessità di entrare di più nella dimensione della condizione umana,  nella profondità della propria esistenza; di cercare nel suo essere la vera essenza delle cose.

Ecco perché più che di rappresentazione c’è la tendenza ad una espressività legata alla fisicità del gesto pittorico, alla materialità degli elementi che compongono la  pittura.

Segni, gesto, materia, colore, sono gli elementi dei nuovi linguaggi.

Il dopo guerra esige una modalità operativa che nel costruire “oggetti” artistici non lavora più attorno ai problemi di razionalizzazione degli spazi pittorici, della scomposizione delle forme, della possibilità di indagare pieni e vuoti nell’ambito delle superfici pittoriche ma, negando la ragione, ci si pone il problema di una ricerca condotta più sulla istintualità, sull’esperienza corporea, sulla materialità  stessa del fare pittorico.

Bergolli non è immune a questa ricerca. Abbandonate le comuni esperienze post-naturalistiche e post cubiste degli anni di fine conflitto, che, per altro, appassionavano molti autori italiani ancora tutti coinvolti in una riflessione attorno al Guernica di Picasso, per il suo “unicum” storico-civile;  si immerge, con tutta la sua passione,  in questa nuova stagione italiana materico/informale e spazialista.

Nascono così una serie di quadri materici chiamati “Composizioni”, quasi a voler marcare, con il titolo stesso, la diversità e il superamento del puro dato paesaggistico e naturalistico per una pittura più vicina al gesto, all’azione, al semplice impasto cromatico. Una risposta formale più vicina ad un bisogno esistenziale che ad un aspetto visivo.

IL magma stesso nel quale è concepita e trattenuta l’azione, la sapiente “incorniciatura” dell’elemento materico mostrano uno spazio pittorico che si chiude in se stesso, non dilata all’esterno, non deborda dal perimetro della tela ma, semplicemente, misura in tutta la sua vitalità la centralità dell’azione pittorica. Paesaggi senza spazio, risolti nella dualità tra elemento strutturale incluso, materia pittorica, colore, graffi, segni di superficie, gesto, e la struttura includente, la superficie stessa della tela.

E’ questo aspetto la novità della pittura. E’ in questa impostazione che si supera il dato visivo, perché si è in grado di trascrivere, sulla superficie, l’azione, il gesto, lo spessore del conflitto che è la dimensione esistenziale in cui l’autore è immerso.

Ma non basta . Il linguaggio della pittura anche se viene modificato nei suoi codici elementari, ottenendo nuove modalità operative, non è elemento sufficiente a reprimere i fantasmi che abitano le dinamiche esistenziali nell’Europa del dopo guerra.

In questa tele senza spazio. In questi spazi materici senza fughe. In questi spazi di superficie includenti, in questo spazio dove l’esistenza appare sempre più prigioniera e che delinea simbolicamente una condizione psicologica, Bergolli trova, verso la fine degli anni cinquanta possibili vie d’uscita. Nasce la stagione dei Tunnel o degli Underground (1954—1965)

Non si sta parlando di una stagione pittorica vitalistica ne di un ritorno alla solarità del colore: questo terzo periodo, se così possiamo definirlo, e che durerà circa dieci anni, misura notevoli forze espressive e dona, alla pittura italiana, una serie di lavori di grande poeticità e valore.

Le tele, anche di grandi dimensioni, appaiono sommerse in una ovattata luce notturna, nella quale a fatica filtrano linee di profondità, ombre, volumi.

Tutto è sospeso nell’attesa di un evento. Sprofondato in prospettive che si aprono lungo pareti o nel centro dell’opera stessa. Lo spazio sembra fuggire via, all’infinito, o sfondare in spazi laterali senza fondo. Tutto lo spazio cubico delle tele non mostra vie d’uscita, solo un intrico di corridoi che si annunciano, porte che si affacciano, scale che compaiono lateralmente o centralmente, lunghi segni neri di rotaie… e, in contrasto, a tanta esibita razionalizzazione degli spazi, grumi, materici  che evocano ombre, figure; un’umanità senza volto ne tempo che non può far altro, nella disperante realtà della solitudine di quei non luoghi in cui si trova se non  di cercare una aggregazione, un farsi corpo l’uno nell’altro.

Il colore stesso definisce e rafforza questo senso di spaesamento, e quando, al grigio fumo, o al nero, al seppia delle atmosfere notturne riappaiono le tonalità del giallo o dei rossi o dei verdi la loro artificiosità è pari alla a temporalità dell’atmosfera che trasudano.

Luoghi di passaggio, di transito, in cui l’esistenza non è esistenza, in cui l’umanità disgregata cerca, nella penombra del risveglio, solo se stessa.

Da queste atmosfere esistenzialistiche sembra non debba nascere più niente, eppure verso la fine degli anni sessanta Bergolli ripropone una stagione apparentemente più naturalistica dove girasoli, foglie,  fiori o rami d’albero appaiono sulla tela come ritagliate da fondali monocromatici. 

Sono gli ultimi lavori ancora non ben definiti criticamente, e anche se il colore riaffiora, dopo una lunga stagioni d’ombre, non siamo ritornati a quadri di visione o di rappresentazione, lo sguardo non è la misura della complessità della tavolozza e le forme non riproducono realtà semmai questi suoi fiori o frammenti d’albero risultano più come sagome,come momenti, come ulteriori visioni fantastiche di un mondo desiderato, perseguito con gli strumenti della pittura ma che la brevità dell’esistenza ha interrotto al loro primo apparire.

La stagione pittorica di Bergolli si chiude così, in un apparente ritorno coloristico che annuncia si un risalire alla superficie della terra anche se gli elementi della visione hanno tutta  la fragilità e l’inconsistenza della loro stessa natura.

La mostra su “Aldo Bergolli e il suo tempo” curata da Alberto Montrasio, Flavio Arensi e Daniele Astrologo,  è visitabile presso il  Palazzo Leone da Perego in Legnano, sino al 5 febbraio 2006. Allo stesso tempo, presso la Banca di Legnano, Largo Franco Tosi 9- Salone degli Sportelli, è visibile l’opera grafica dell’autore.

 

Aldo Bergolli e il suo Tempo

Palazzo Leone da Perego

LEGNANO (MI)

Dal  3 dicembre 2005  al  5 febbraio 2006

Orari d’apertura

Da martedì a venerdì 16.30 – 19.00

Sabato 16.00 – 20.00

Domenica e festivi 10.00—13.00  –15.00 –20.00

Info 0331.471.335    wwww.legnano.org 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Gennaio 2006
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