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Il senatore del Pd Paolo Rossi commenta il momento di crisi economica che ha travolto i mercati di tutto il mondo

Uno dei capisaldi del buonsenso, prima di ogni altra considerazione, è che l’intelligenza di per sé non è sufficiente, ma bisogna saperla amministrare.

Dietro al «me ne frego» del capo dell’Esecutivo – rivolto a Veltroni che offriva al leader di Arcore, in un momento economico così delicato e difficile, la collaborazione del Partito democratico – si specchia la pochezza "provinciale" e asfittica della politica italiana. (foto: Paolo Rossi)

La considerazione che, in una fase di tale natura, nessun politico al mondo avrebbe risposto in modo siffatto, non stempera l’amarezza e avvalora la triste unicità del nostro Paese, nonché l’atteggiamento da "piccolo Napoleone" di quartiere ben incarnato dal presidente del Consiglio.

Eppure la situazione economica italiana è drammatica e non solo per le inquietanti vicende d’Oltreoceano: viviamo in un ciclone finanziario che rischia di riservare effetti considerevoli sull’economia reale. Il problema è che non siamo dinanzi alla fine della globalizzazione, ma di fronte alla caduta di un’interpretazione finanziaria della globalizzazione. Pesa, in tal senso, un modello dominante che non riguarda solo gli Stati Uniti e che ha affidato alla finanza un compito sostitutivo alla crescita dei redditi da lavoro e della funzione della redistribuzione, come se fosse la finanza a doversi esprimere, in una specie di nuovo Welfare.

Il netto rifiuto, da parte del Governo, di fornire ogni informazione sulla crisi (soprattutto in sede parlamentare) è un fatto grave: decidere di non coinvolgere maggioranza e opposizione in un’attenta analisi e una valutazione comune della fase che stiamo attraversando è – come ha sintetizzato a ragione Pierluigi Bersani – «cronaca di ordinaria arroganza».

La storia non si può cancellare: possiamo forse dimenticare che proprio l’onorevole Tremonti nel 2003 voleva introdurre, in nome di una finanza che alla distanza di tempo ci appare ben più cosmetica che creativa, il sistema dei mutui ipotecari americani per rilanciare i consumi? Come dimenticare il distorto sviluppo che segnò quel periodo e che dette il via libera per gli Enti locali all’accesso a strumenti finanziari quanto meno rischiosi?

Non si può pensare a uno Stato invadente, ma nemmeno a uno Stato imbalsamato e immobile: lo Stato deve dettare le regole e far sì che siano rispettate, garantire adeguate politiche fiscali progressive e più efficaci, promuovere a livello internazionale e nazionale strumenti efficaci di controllo dei mercati, stimolare politiche attive che sollecitino innovazione e qualità nella produzione e nei consumi, sviluppo del capitale umano, di infrastrutture, di ricerca. È forse questa una visione da nostalgici comunisti?

Sulle questioni concrete non si sta facendo nulla, o meglio, si sta facendo melina, forse sperando di risolvere la partita ai supplementari o ai rigori, per voler del fato…

Tuttavia, il cuore del problema sta nel rapporto fra la questione economica e la questione sociale. Dati Istat aggiornati ci dicono che 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese; che il 15% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese; che il 28% non può far fronte a "spese impreviste"; che il 10% è in ritardo per il pagamento di bollette o non ha denaro a sufficienza per coprire le spese mediche: e così via…, se non fosse che a pagare sono le fasce più deboli della popolazione, che l’inflazione è ben al di sopra della media europea, e che assistiamo a una progressiva riduzione dei consumi a fronte dell’aumento della precarietà, in forma conclamata o carsica, e della disoccupazione.

Non si tratta, poi, in ogni caso, solo e semplicemente di una questione di assenza di risorse: quando si vuole si trovano, come abbiamo visto per l’ICI (sic) e per Alitalia.

Di fronte a tutto questo prevale l’atteggiamento del "Ghe pensi mi!" e del "non ho bisogno di nessuno" del premier… mentre il Paese scivola verso il basso, crescendo meno di ogni altro partner europeo, con una forbice dei redditi sempre più aperta, e con una mobilità sociale fra le più basse.

Dal canto nostro siamo ostinati. Per crescere economicamente occorre affermare i diritti sociali, sviluppare politiche redistributive, ridurre il divario fra i territori. Serve più libertà e rompere con i conservatorismi e con le caste, servono riforme che attacchino i meccanismi corporativi che – è questo il grave – paralizzano le nuove generazioni e le necessarie dinamiche innovative dei protagonisti economici e sociali.

In un sistema democratico e parlamentare l’ipertrofia dell’Io e il "Ghe pensi mi!" non portano a nulla: se le onde del mare si mettessero a riflettere, crederebbero di avanzare, di progredire, di lavorare per il bene del mare, ed elaborerebbero una filosofia sciocca almeno quanto il loro zelo.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Ottobre 2008
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