“Vi racconto il pronto soccorso, terra di frontiera”

Il medico anziano del pronto soccorso racconta la sua vita in prima linea tra emergenze e voglia di riscatto. "Dopo 6 ore di lavoro spesso massacrante, trovi ancora qualcuno che ti critica, ma ci sta anche questo"




«Guantanamo? Non, avevo mai sentito definire così il Pronto Soccorso . Forse Guantanamo è venuto in mente perché ci sono gli "arancioni" ( gli ausiliari addetti al trasporto dei pazienti)». Andrea Truda è uno dei medici del PS di Varese. Uno degli “anziani”, non certo anagraficamente, ma per la sua attività in area internista al Pronto Soccorso: « Dopo dieci anni di servizio penso di aver acquisito una certa esperienza. Professionale, ma anche umana, tanto da riuscire ancora a sostenere i ritmi di lavoro con una certa tranquillità. Sicuramente, non è una passeggiata, sono ore di massima concentrazione, divise tra i pazienti da visitare, quelli da controllare e quelli che aspettano ancora in sala triage. Dopo 6 ore di lavoro spesso massacrante, trovi ancora qualcuno che ti critica. Non è proprio stimolante ma ci può stare: il giudizio è sempre molto soggettivo e dipende da come e quanto si è sviluppato il dialogo con medico e infermieri. Se abbiamo la sala piena di pazienti in attesa e casi da controllare distribuiti sulle barelle, francamente è impossibile trovare il tempo per stare accanto a tutti. Io spiego la situazione mentre visito, poi ritorno quando e se posso».  
   
Le critiche contenute nella lettera della nostra lettrice che effetto le hanno fatto? 
«Posso dire che hanno complicato un po´ il rapporto tra i pazienti e il personale. Qualcuno pensa che in questo reparto non siamo capaci, che battiamo la fiacca e quindi pretende. Ma le cose non sono così semplici. Sappiamo che in PS ci sono problemi, che qui si concentrano i punti deboli del sistema sanitario: una rete territoriale che non risponde totalmente alle esigenze, un ospedale che ha letti sempre pieni. E poi c’è chi si rivolge al PS anche solo per un esame, per un controllo, per un ricovero temporaneo in attesa che si liberi un letto. Il lunedì, per esempio, abbiamo i picchi di pazienti: ma se noi siamo un servizio di emergenza dovremmo avere una richiesta costante durante tutta la settimana, o no?».  
 
Come si fa, però, a tirare avanti in questo modo? 
«L´organizzazione interna è quella su cui anche il personale medico ed infermieristico cerca di investire energie e idee. Non è vero che subiamo passivamente la situazione. Il nostro obiettivo è quello di migliorare l´efficienza del reparto, perché in questo modo valorizziamo la qualità del lavoro e dell´assistenza. È importante che si prosegua il confronto aperto con il direttore generale Walter Bergamaschi partecipando ed impegnandosi in modo costruttivo. I commenti giunti al vostro giornale spero contribuiscano ad accelerare il processo di riorganizzazione»  
 
Ma le cose stentano a migliorare. Non sarà anche perché il turn over è elevato? 
«Il PS è sempre stato e sempre sarà terra di confine. Io sono in reparto da dieci anni. Perché ci credo, perché sono seriamente convinto che le soluzioni per migliorare ci siano. Stare in PS, però, richiede determinazione  e attaccamento. A volte, chi arriva qui perché vincitore di concorso ha solo in mente di guadagnare punti per poter ottenere un posto in reparto. Ammettiamolo: non c´è la fila per entrare in PS perché il ritmo di lavoro è incalzante e ad alto rischio. Oggi, fare il medico del pronto soccorso è un po´ come fare il medico di base avanzato. A volte sei un semplice smistatore, un filtro. La prospettiva non è attraente. Ma alla fine, è un posto come un altro, con possibilità di appassionarsi e di dare il meglio come altri. L´importante è continuare a trovare le motivazioni».  
 
In PS ci sono 23 medici, un numero enorme…  
«Può sembrare, ma se consideriamo il carico di lavoro sono appena sufficienti. Abbiamo per turno due medici per gli ambulatori internistici, uno per i traumi, uno che controlla il reparto dei ricoverati, uno per la sala di osservazione, uno per l´emergenza e uno per l’ambulatorio gessi. Non tutti, poi, hanno la stessa specializzazione: chi fa traumi ha minor dimestichezza con l´area internistica e viceversa. Facendo un calcolo, 7 medici al mattino, sei al pomeriggio e tre di notte, considerando i turni, il calcolo è fatto: sono appena sufficienti per la normale routine. Escluse ferie, lavoro amministrativo o corsi di aggiornamento».  
 
Ma è vero che in PS capita che qualche paziente salti il pasto? 
«Può capitare, ma, francamente, mi sembra il minore dei mali. Mettiamo il caso che io visiti un paziente a cui prescrivo digiuno per il malore che accusa, se poi quel malore passa ma gli ordinativi in cucina sono già stati fatti, il pasto per quel paziente non c´è. È chiaro che, se il medico revoca l´obbligo del digiuno, il paziente può andare ai distributori o farsi portare il cibo da fuori. Noi siamo un pronto soccorso, in fondo…».




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Pubblicato il 27 Maggio 2009
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