Dal mulino alla segheria a impatto zero
Il primo step verso il quale i Novello si sono dovuti muovere è stata la scelta del sito su cui poggiare le fondamenta del nuovo capannone.
«Qui già nel 1400 si lavorava il legno. Venne deviato l’Arno e il mulino, oltre agli altri lavori, funzionava come segheria. Da allora tanta acqua è passata da lì e le attività economiche sono cambiate».
La scelta del sito su cui costruire il nuovo capannone non è arrivata a caso e fa parte anch’essa della filosofia dei Novello.
Tutto è cominciato cinque anni fa quando si avviò il progetto di costruzione. Il primo step verso il quale i Novello si sono dovuti muovere è stata la scelta del sito su cui poggiare le fondamenta del nuovo capannone. L’opzione più facile, e naturale, ammettono gli amministratori, sarebbe stata la localizzazione all’estero, in Canton Ticino o in Austria, «lì non solo eravamo certi di poter avere una copertura finanziaria del progetto, ma avevamo addirittura già ricevuto proposte in tal senso». Sulla scelta, però, ha prevalso l’attaccamento per il territorio: la voglia di valorizzarlo e di tracciarvi un solco per un nuovo modello di sviluppo. «Il territorio per noi è sempre stato importante e abbiamo voluto muoverci di conseguenza – spiega Moreno Novello, amministratore della Novello S.r.l.e vicepresidente del settore legno di Univa – vogliamo creare sviluppo e vogliamo farlo qua».
I loro occhi si sono quindi posati su un’area dismessa nel comune di Oggiona con Santo Stefano, che fa angolo tra la via Ronchetti e l’autostrada A8 (a sinistra nella foto satellitare da Google Maps). Un’area che è piaciuta per l’ubicazione e soprattutto per la sua storia. Di per sé si trattava di un luogo che a quell’epoca diceva poco, era dismesso, cadente e degradato ma la sua storia per i Novello ha avuto un fascino particolare. «Si hanno notizie per la prima volta di quell’area nel 1400 quando vi sorgeva un mulino e soprattutto una segheria. Costruire lì per noi è come un cerchio che si chiude».
E in effetti quell’area ha fatto un pezzo della storia di quel territorio. È sorta nel contesto particolare della valle dell’Arno e in particolare dei suoi mulini, costruiti prima per macinare grano e cereali e poi, con la nascita dell’industria, per fornire energia alla produzione. Nel pezzo di terreno scelto dai Novello era attivo il mulino Martinazzi, reso celebre dall’attività della tintoria Sacconaghi alla quale forniva la forza idraulica necessaria per dare energia alla produzione. Ma tanti sono stati i suoi passaggi di mano dal giorno in cui Gerolamo Sacconaghi, cittadino del Canton Ticino dal paese di faido, la acquistò per costruirvi la fabbrica che ha avviato il processo di industrializzazione a Cavaria. Dopo la Sacconaghi vi lavorò l’Isotta Fraschini, e durante la guerra il processo di bellicizzazione ha convertito la produzione in quell’area in armamenti. E poi ancora è stata acquistata da una multinazionale svizzera alla quale è seguita, fino al suo abbandono, la proprietà della Tansini, ditta specializzata nella produzione dei carrelli elevatori. (Per approfondimenti: “Dalla vanga all’officina” di Giuseppe Morreale, Nomos edizioni). Per approdare infine nelle mani dei Novello.
L’acquisto dell’area non è stato comunque un’impresa facile, prima i finanziamenti e poi la burocrazia hanno contribuito a dilatare i tempi d’inizio lavori. Addirittura i Novello avevano pensato ad altri luoghi, in particolare un’area di Lonate Pozzolo. «Era però un’area boschiva – racconta Novello – la nostra filosofia ci impediva di radere al suolo quel patrimonio arboreo, e poi eravamo molto affascinati dal primo posto individuato. Per noi non si trattava solo di tirar su un capannone, ma di costruire un messaggio culturale».
Dopo due anni, e montagne di carte accumulate negli uffici, l’obiettivo è raggiunto. L’area è stata acquistata e i cantieri hanno cominciato a lavorare.
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