Orson Welles è passato da Gallarate

Tutto esaurito al teatro del Popolo per il monologo sull'attore regista drammaturgo morto nel 1985, interpretato da uno straordinario Giuseppe Battiston

Giuseppe Batttiston nei panni di Orson WellesIeri chi scrive è andata a vedere Orson Welles al teatro del Popolo di Gallarate. Non è una boutade, o la scemenza detta da una persona un po’ brilla: piuttosto è un omaggio alla bravura di Giuseppe Battiston, che nel piccolo teatro ricolmo (il che significa circa 300 persone, mica poco) ha presentato “Orson Welles roast”.

Un’ora e un quarto di monologo in cui lui impersona – ma francamente “impersonare” è riduttivo: piuttosto lo vive – il grande attore, regista e drammaturgo scomparso nel 1985. E lo fa parlando in un italiano dal forte accento inglese del tutto compatibile con il personaggio: «Ma non me ne scuso, perchè il mio italiano è perfetto: voi non lo ricordate, ma ho vissuto qui per quindici anni» dice Giuseppe-Orson. L’attore si esprime con un mix di termini forbiti e volgarità gridate che rendono in maniera esemplare quello che è stato l’artista, il personaggio, il gigione mai cresciuto. Battiston – Welles racconta in prima persona la sua vita, segnata dal fatto che “ero un bambino pieno di talenti, e questo ha aiutato parecchio la mia autostima”:  e quindi fatta di sfide impossibili, affrontate ogni volta come se fossero una marachelle di bambino.
Proprio per questa sicurezza "endemica" Orson sembrava sempre più vecchio della sua età e quindi ha potuto organizzare il planetario scherzo radiofonico della “Guerra dei Mondi” a soli 23 anni, e dirigere “Quarto Potere” a 26.

Il protagonista sul palco – la cui scenografia è costata si e no 200 euro e stava tutta nei bauli che facevano, anch’essi, da mobile: praticamente uno spettacolo trasportabile in station wagon – ha saputo raccontare la sua vita in accappatoio, filosofeggiando sul rapporto tra artista e pubblico e raccontando persino il luogo dove ora riposa in pace con cadenza sincopata, fluttuante tra la lentezza studiata delle parole alle urla isteriche. E’ lui, Orson, anche se è morto 25 anni fa, anche se in realtà ha un bel cognome veneto. E quando parla dell’"intimità come massima espressione della comunicazione" chi guarda pensa, innanzitutto, all’intimità tra attore e personaggio.

Poi, la pièce finisce – tra l’altro in un tempo più corto del solito ma perfetto per godersi appieno l’ininterrotto monologo senza correre il rischio di sentirne la pesantezza – e Battiston ridiventa Battiston: l’irriconoscibile detective di Pane e Tulipani, il caratterista di alcune delle più brillanti serie TV (Non pensarci, Tutti pazzi per amore), il dottore alternativo di Si Può Fare.
L’abbiamo aspettato all’uscita, per convincerci che non fosse per davvero Orson redivivo. 

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Pubblicato il 19 Febbraio 2010
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