Dall’indie rock a Calvino, la nuova musica delle “Città invisibili”

Cantano in italiano ma suonano inglese, sono cinque ragazzi di Varese al lavoro al loro primo album

Le città invisibiliDa pochi mesi “Le città invisibili” non è solo un libro di Italo Calvino ma anche una band che aspira a calcare la scena della musica italiana e non solo.
Per la precisione sono 5 ragazzi, Fabio, Mattia, Pier, Simo e Tommy, che dal Varesotto stanno dando vita ad una musica nuova: orecchiabile ma tutt’altro che scontata, cantata in italiano ma che non ha niente a che fare col provincialismo che spesso e malvolentieri ci contraddistingue.
Nascono con le caratteristiche giuste nel momento più azzeccato, in una fase dove l’indie rock, dopo aver attraversato i suoni della Gran Bretagna, (e loro hanno fatto il pieno di Interpol, Editors, Joy Division e Cure) si sta avvicinando in una chiave più internazionale all’utilizzo dell’italiano. Loro traggono spunti dalla New wave, dal brit pop e dalla leggendaria esperienza musicale dei fratelli Gallagher.
Hanno cominciato a suonare più di 10 anni fa partendo dalla camera da letto di Tommy, il compositore del gruppo, dove insieme a Fabio e Pier hanno dato una melodia a un testo alle canzoni che avevano in mente.
Con gli anni sono aumentati l’affiatamento e la tecnica, e anche la line up del gruppo si è rinnovata con l’arrivo di Simone e Mattia.
L’equilibrio perfetto arriva nel 2010 dopo l’incontro con il dj producer milanese Mr. Piraz, il ragazzo che li sta seguendo nella produzione del primo album. E così nascono ufficialmente “Le città invisibili”, un nome che dal duplice significato, spiegano: da un lato chiarisce fin da subito la scelta linguistica della band e dall’altro riprende alcune caratteristiche dell’opera di Calvino, «abbiamo trovato una connessione tra il suo modo di scrivere e il nostro di comporre musica – racconta Simone – noi prendiamo ispirazione di qua e di là da diverse esperienze musicali e poi le rielaboriamo componendo un un brano che sta in piedi da solo». Le città invisibili
Le canzoni anche adesso continuano a nascere nella camera di Tommy seguendo lo stesso iter, prima la melodia («la musica è l’aspetto delle nostre canzoni su cui vogliamo porre maggiormente l’accento») e poi le parole.
Parole tutt’altro che scontate, capaci di colpire nell’immediato evocando fotogrammi che sembrano tratti dalle scene di un film. «Nei nostri testi – spiegano Le città invisibili – diamo sfogo a quello che sentiamo dentro, a volte critichiamo ciò che ci sta intorno, altre riflettiamo sulle esperienze vissute. E poi in qualche modo parliamo anche di Varese e del nostro rapporto di amore e odio». Un amore radicato che deriva dal fatto che «Varese è la nostra città», ma anche odio «per il suo aspetto spesso provinciale, che offre pochi stimoli, anche ai tanti gruppi musicali eccellenti che vi suonano». Poi però rettificano, «in effetti qualcosa di importante si sta muovendo anche qua, il Twiggy (Locale in via De Cristoforis) ne è un eccellente esempio, ma anche l’etichetta Ghost Records e tante altre esperienze importanti».
“Le città invisibili” stanno lavorando ora al loro primo progetto importante, un disco che ha raccolto l’apprezzamento immediato dei pochi che hanno già avuto il piacere di ascoltarlo, e tra gli altri anche di Jon Gray, produttore e mixer di gruppi del calibro di Editors e Rem, che ha accettato di lavorare sul montaggio dei loro pezzi. Un disco autoprodotto, che è nei fatti già pronto e aspetta l’etichetta giusta per essere lanciato con l’enfasi che si merita.
I ragazzi hanno tutte le carte in regola per entrare a far parte di quella nuova esperienza della musica italiana che piano piano si sta riappropriando del suo idioma, una strada troppo a lungo preclusa da fenomeni musicali di facile consumo. Le città invisibili sanno invece coniugare nelle loro canzoni l’uso dell’Italiano in una chiave musicale che esce dai confini della nostra penisola, evocando con i loro testi immagini cinematografiche che si mescolano perfettamente a melodie dal sapore anglofilo. Nulla di che sorprendersi da ragazzi che sono cresciuti a pane e Oasis, ma piacevole novità in un panorama musicale soffocato da fenomeni stanchi e melodie eccessivamente ammiccanti, loro direbbero «in un mondo oscurato da clown e da celebrità».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Aprile 2010
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