“Federica Motta? Non fa niente, incassa e basta”

Nuova udienza del processo Lolita. Sfilano i testi e si ascoltano le prime intercettazioni che rivelerebbero, secondo il pm, il ruolo della compagna di Gigi Bossi considerata, da almeno un imprenditore, assenteista e poco preparata

Un rendering per la valutazione dell’impatto ambientale di un edificio costava 5000 euro allo studio Lolita di Federica Motta, meglio se in nero. La nuova udienza del processo che vede sotto accusa per concussione Gigi Bossi, ex-capo dell’urbanistica di Gallarate, l’architetto Riccardo Papa e la collega Federica Motta si arricchisce di nuovi particolari su come funzionava l’ambiente immobiliare ed edile del gallaratese. Sfilano uno ad uno gli otto testi convocati per oggi, giovedì, nell’aula Falcone e Borsellino del tribunale di Busto Arsizio e raccontano come hanno conosciuto Bossi, Motta e Papa e con quali modalità lavoravano. Mancano i volti noti della politica gallaratese a partire dal sindaco Nicola Mucci fino all’assessore all’urbanistica Massimo Bossi, che appariranno nelle prossime udienze, ma non è mancato Francesco Pinto, amministratore delegato di Inticom (detentore del marchio Yamamay), riguardo alla costruzione del palazzo Yamamay in via Carlo Noè: «Federica Motta faceva parte del pool di professionisti che collaboravano con l’architetto Papa – dice rispondendo alle domande del pubblico ministero Roberto Pirro – ma non la saprei riconoscere, non parlava direttamente con me».

Se dall’amministratore delegato di Inticom non viene fuori nulla di significativo, l’atmosfera si scalda in aula quando il pm legge un’intercettazione di una conversazione tra l’architetto Pietro Minoli (tra i testi ascoltati oggi) e Riccardo Papa in merito ai finanziamenti alla campagna elettorale del Pdl nel 2008: dopo che i due dicono di partecipare economicamente in prima persona mettendo a disposizione delle cifre Minoli risponde alla domanda di Papa su quanto avrebbe messo la Motta "niente – dice Minoli – lei non fa niente, incasssa e basta". Secondo il pm queste parole conferemerebbero la tesi accusatoria che vede nella Motta una specie di canale attraverso il quale transitano soldi destinati ad acconciare pratiche edilizie, velocizzarle e facilitarle grazie al suo ruolo di primo piano nell’ufficio tecnico gallaratese. Minoli si giustificherà dicendo che in quella conversazioni non si stava parlando delle prestazioni professionali della Motta ma del suo ruolo nella campagna elettorale.

A conferma del teorema accusatorio giungono anche le parole di Roberto Ernesto Zaboia, amministratore unico di Euredil, una società milanese con importanti interessi immobiliari nella zona di Gallarate: «Mi lamentai molto della Motta – alla quale Zaboia affidò l’incarico di progettare unità immobiliari a Sesto Calende – non c’era mai in studio, non rispondeva al cellulare, aveva dei collaboratori non proprio all’altezza (li definisce disegnatori più che progettisti, ndr) e ignorava le norme tecniche di attuazione del comune di Sesto Calende. Aveva sbagliato i calcoli sulle distanze tra le costruzioni e le misure dei parcheggi. Insomma non si era rivelata all’altezza». La difesa Motta, rappresentata dall’avvocato Cesare Cicorella, si è opposta più volte alle domande del pm che, in più di un’occasione, ha definito suggestive. Sotto la lente del collegio giudicante presieduto da Toni Adet Novik, anche la questione legata ad alcuni progetti presentati da Malvestiti Group (imprenditore del settore della compravendita di automobili) il quale ha definito normali i rapporti con Bossi, Motta e Papa anche quando, in un’intercettazione telefonica, lo stesso Malvestiti "tratta" la chiusura dei rapporti di lavoro con Motta e Papa con l’architetto Bossi, "me li presentò lui – ha detto in aula Malvestiti – e solo con lui parlavo", in merito ad alcuni progetti che riguardavano la costruzione di due concessionarie a Gallarate e una a Induno Olona.

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Pubblicato il 15 Luglio 2010
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