Riforma universitaria, per “protesta” rimandato il primo giorno di scuola
La decisione è stata presa il 10 settembre dal Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza
Nella seduta del 10 settembre, il Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria di Como ha deliberato lo spostamento dal 20 al 27 settembre dell’inizio dell’attività didattica relativa ai suoi Corsi di laurea (Magistrale in Giurisprudenza, Discipline giuridiche, Scienze della Mediazione interculturale e interlinguistica, Scienze del turismo).
L’iniziativa è stata intrapresa per rendere manifesto anche alla popolazione studentesca e all’opinione pubblica la grave insoddisfazione dell’intero corpo docente rispetto agli sviluppi della pur indispensabile ed attesa riforma universitaria: è infatti ormai evidente che, insieme a misure da tutti condivise, il disegno di legge sull’università, con il supporto surrettizio dei tagli previsti dall’ultima finanziaria e dalle norme sul pubblico impiego dello scorso biennio, non solo discrimina la frazione più giovane del mondo accademico, rispetto alla “nuova” figura del ricercatore a tempo, ma soprattutto priva di qualsiasi credibilità la prospettata valorizzazione del merito, condannando l’intera università pubblica del nostro Paese ad un destino non competitivo a livello europeo e globale.
A prescindere da ogni altra considerazione, infatti, nei prossimi dieci anni, il combinato effetto delle misure finanziarie già decise e di quelle legislative attualmente in discussione sarà questo: andrà in pensione circa il 50% del corpo docente, ma, in base ai fondi stanziati per la riforma, si potrà coprire solo il 10% dei posti lasciati liberi. Ciò significa che la riforma non solo diminuirà ulteriormente le già scarse prospettive di carriera dei docenti in servizio – e anche dei “nuovi” ricercatori a termine ideati dal ddl governativo – ma la conseguenza più grave per il sistema universitario pubblico nel suo insieme sarà la drastica riduzione delle risorse economiche e dei docenti sotto la soglia di sussistenza dei corsi di laurea anche più tradizionali e indispensabili al Paese, in radicale controtendenza rispetto a ciò che accade mediamente negli altri Paesi occidentali, ove si tende ad innalzare e non a ridurre il livello dell’offerta per la ricerca e la formazione. Quanto, poi, ai “vecchi” ricercatori, quelli ora in servizio, che hanno contribuito alla sopravvivenza dell’istituzione senza esservi tenuti, verranno relegati in una sorta di riserva indiana, perché la riforma li condanna ad essere scavalcati, nelle ormai pochissime occasioni di avanzamento di carriera, anche dai “nuovi” ricercatori a tempo determinato.
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