In viaggio verso il Kansai
La vita a Tokyo procede: c'è addirittura chi si sposa. Ma la preoccupazione è forte, ed Erica decide di trasferirsi in treno per raggiungere la zona sud ovest del Paese in compagnia di un'amica italiana
Lasciare o no Tokyo? Erica, che ci scrive dalla capitale Giapponese ed è stata tra i primi nostri connazionali al di fuori dei corrispondenti dei giornali a raccontare il terremoto vissuto in prima persona, è combattuta. Nella megalopoli ha amici, lavoro, affetti, ma alla fine ha deciso: si sposta a sud ovest in treno con un’amica italiana. Non è ovviamente un addio, ma solo uno spostamento precauzionale nell’attesa che la situazione migliori. Ecco il suo racconto.
Ieri è stata una giornata lunga, stressante e inconcludente. Dopo la decisione di chiudere l’ufficio per qualche giorno, sono rimasta a casa tutto il giorno lavoricchiando ma soprattutto guardando ossessivamente giornali, tv e internet alla ricerca di informazioni aggiornate e attendibili e di qualcosa che facesse pendere la mia bilancia in un senso o nell’altro. Andare o restare?
Mi riferisco ovviamente al lasciare o meno la città, dal momento che a lasciare il paese non ci penso minimamente.
Il mio cuore è qui, a Tokyo: lavoro, amici, amore e ormai quasi tre anni di ricordi e di vita. Il mio cuore dice di rimanere. Ma il mio cuore è anche un po’ in Italia con la famiglia e gli amici che sono in ansia per me e sarebbero disposti a fare carte false per vedermi salire su un aereo diretto in Europa.
Il mio cuore è diviso a metà, e così lo è la mia testa. La consapevolezza – confermata da numerose fonti attendibili e autorevoli – che Tokyo è e sarà sicura va di pari passo con il ragionevole dubbio che qualcosa di non previsto possa accadere e metterci in pericolo. Non avendo problemi di lavoro e avendo amici che a gran voce si dicono disposti ad ospitarmi nel Kansai (a sud-ovest di Tokyo, nella zona di Kyoto e Osaka per capirci) mi chiedo se non sia meglio cedere e spostarmi.. Perché correre rischi inutili?
E così decido di fare, con il cuore spezzato per aver lasciato i miei affetti a Tokyo e per aver in qualche modo "tradito" la città che al momento sento più mia. Il mio ragazzo dice che rimarrà in città in attesa che la sua famiglia arrivi da Ibaraki, e che probabilmente mi raggiungeranno nei prossimi giorni. La sera per scongiurare la tensione decidiamo di uscire, ed è incredibile come al di fuori dalle quattro mura di casa nostra la vita continui a scorrere uguale a sempre. Qualche mascherina bianca in più (i Giapponesi le indossano di norma quando sono raffreddati o in questa stagione in cui i pollini causano molte allergie) o forse è solo una nostra impressione. Per sicurezza noi la indossiamo.
La serata con gli amici scorre come sempre, tra un brindisi a un matrimonio e uno a una promozione. Nessuno sembra realmente preoccupato. Per un momento credo di essere io pazza, di essere preda del panico e basta, e vado a letto senza essermi ancora decisa del tutto.
Ma il risveglio la mattina con il reattore numero 4 di nuovo in fiamme e la telefonata in cui il padre del mio ragazzo conferma che si vogliono muovere al più presto verso Tokyo mi riporta alla realtà e alla mia decisione iniziale.
Sistemo un paio di questioni di lavoro rimaste in sospeso, finisco di preparare la borsa e raggiungo la mia compagna di viaggio alla stazione di Shibuya: una ragazza italiana che come me si sente più sicura a mettere qualche chilometro in più tra lei e Fukushima. La sua azienda ha un ufficio anche a Nagoya e probabilmente continuerà a lavorare da là.
Siamo tutt’ora in treno dirette ad ovest, con tutti i nostri dubbi e ripensamenti. E con la speranza che sia solo una precauzione inutile e di poter tornare a casa – a Tokyo – il prima possibile.
Un abbraccio
Erica
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