La militanza della domanda
La filosofia della rivista "una città"
Crediamo che la "militanza della domanda e dell’intervista”, la pratica dell’ascolto e del racconto, sia un’ottima cosa per chi voglia governare il paese più importante del mondo come per un giovane che voglia far qualcosa di buono nel quartiere più sperduto del globo. E che il pluralismo sia un valore assoluto ma anche una cosa molto utile, così come l’idea, il pregiudizio vorremmo dire, che negli altri ci siano sempre delle ragioni da stare a sentire, da indagare.
Crediamo all’attualità dei grandi ideali di un tempo lontano, gli ideali del socialismo umanitario: democrazia e libertà, giustizia sociale, cooperazione e mutualità, comunalismo e federalismo, europeismo e cosmopolitismo.
Pensiamo valga la pena impegnarsi in una battaglia delle idee affinché la sinistra, anche riandando alla sua tradizione più antica, ritrovi la sua "ragione sociale” nella fiducia nelle persone, nella loro libertà e capacità di autonomia e nel loro bisogno vitale di associarsi, di cooperare. Ci sembra importante provare a raccontare, a giovani ansiosi di cambiamento, come si possa essere radicali senza essere antagonisti, come si possa costruire un mondo migliore senza dover prima distruggere.
Una città nasce nel marzo 1991 a Forlì per iniziativa di un gruppo di amici, già impegnati politicamente a sinistra in anni giovanili che, senza alcun rimpianto per la militanza di un tempo né, tantomeno, per l’ideologia che l’aveva sostenuta, erano accomunati dalla curiosità ‘per quel che succede’, e dal desiderio di discuterne con altri, senza pregiudizio alcuno. Non essendo né intellettuali né giornalisti, quindi un po’ per necessità (l’incapacità a fare saggi o reportage), un po’ per una buona intuizione (l’idea che in un tempo di dubbi e domande più che di certezze, l’intervista fosse un genere che ‘si prestava’) la rivista nasce come ‘mensile di interviste’. Le interviste sono molto lunghe. I temi (sociali, culturali, politici, ambientali) e gli intervistati (esperti ma soprattutto operatori sociali e persone comuni) molto vari. Si può trovare, ad esempio, l’intervista al giovane napoletano che grazie ai maestri di strada si laurea in filosofia, e, subito dopo, quella alla storica che spiega come San Francesco, con tutta probabilità, si fosse ammalato accudendo i lebbrosi; si può leggere della situazione del distretto della scarpa di lusso di San Mauro Pascoli e, voltata pagina, del giovane di An di Sondrio che fa Heavy Metal, rugby, il consigliere comunale ed è pure un bravo ragazzo. Le interviste fatte sono ormai più di 2200 e tutte accessibili sul sito di Una città. La linea del mensile, quindi, è il risultato innanzitutto di un impegno a domandare. Ma i redattori della rivista sono accomunati anche dalla fedeltà ad alcuni ideali: il libertarismo, il cooperativismo, l’internazionalismo. Di qui il particolare interesse per tutte le ‘buone pratiche di cittadinanza’, in cui si concretizza la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, alla discussione e alle decisioni; Una città, nel suo piccolo, cerca di raccontare un’altra Italia, quella che senza clamore, e spesso senza aspettare o rivendicare l’intervento dello Stato, affronta i problemi e tenta di risolverli con spirito cooperativo. Di qui, anche, l’interesse per quella tradizione libertaria e cooperativistica, pluralista, non statalista, della sinistra italiana ed europea, del tutto dimenticata e rimossa. Forse senza una qualche carta d’identità è difficile vivere e forse la sinistra la sua non può che ritrovarla in quella tradizione. (Come supplemento a Una città, escono saltuariamente i ‘Quaderni dell’altra tradizione’, il primo dei quali è stato dedicato a Nicola Chiaromonte, alla cui memoria i redattori si sentono particolarmente legati). Riguardo all’impegno internazionale Una città è andata a fare interviste in alcune delle situazioni drammatiche che in questi anni ci hanno visto spettatori quasi sempre impotenti: la Bosnia, l’Algeria, il Kosovo, Israele e Palestina. (La raccolta di quelle israeliane è stata pubblicata nel libro La bandiera Nera, il primo delle ‘edizioni Una città’). A volte tale lavoro giornalistico si è tramutato in una vera campagna di solidarietà. E’ il caso dell’Algeria, quando la rivista ha fatto il possibile per far conoscere in Italia la resistenza, spesso disperata, dei democratici algerini, allora completamente ignorati in Occidente, contro il nuovo fascismo, quello fondamentalista islamista. Una città crede che l’intreccio fra tutela della pace, difesa dei diritti umani, promozione della democrazia e affermazione del principio del pronto soccorso (in difesa di minoranze sotto minaccia di genocidio) debba essere inscindibile. Inevitabile, quindi, anche la ripulsa più ferma di ogni imperialismo che, inneggiando casomai alla democrazia, pratichi una politica di potenza nel disprezzo dei diritti umani.
La rivista è totalmente autofinanziata, non ha pubblicità, si riceve solo per abbonamento. I fondatori sono ancora tutti lì, ma ora la redazione può contare su giovani redattori e su amici e collaboratori in varie città italiane. Gli abbonamenti, all’inizio del 2005, sono circa 1350, equamente distribuiti per le città italiane.
La proprietà della rivista è stata della cooperativa omonima fino al 2009. Per iniziativa dei redattori, collaboratori di Una città e di altri amici nel gennaio 2003 si dà vita alla Fondazione Alfred Lewin (qui sotto la carta d’intenti) che nel novembre 2009 assume la proprietà della testata Una città. La cooperativa resta "casa editrice".
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