Una comunità per salvare la cultura
Sinistra ecologia e libertà lancia una proposta per tener viva la ricca attività culturale. Sul passato le responsabilità sono di tanti a partire dall'ex sindaco, il suo vice e tutto il Consiglio della Fondazione
Si continua a discutere sul futuro della Fondazione Culturale di Gallarate, dopo la scoperta del pesante deficit e dopo che il sindaco Edoardo Guenzani ha dato come indirizzo la ristrutturazione del debito e il ridimensionamento delle attività del prossimo anno. Roberto Abelli, segretario di Sinistra Ecologia e Libertà, riflette sulle scelte del passato e sulla necessità di mantenere la continuità operativa della struttura.
Consideriamo la cultura un elemento di civiltà. Anche in momenti di crisi, quando tante persone faticano ad arrivare alla fine mese, la cultura non può essere considerata accessoria ed essere schiacciata nel ruolo di inutile ornamento dalle difficoltà economiche del Comune, difficoltà frutto dei continui tagli del Governo e della dissennata gestione passata. Perché la partecipazione a eventi culturali arricchisce la vita e la personalità di ognuno, alimenta emozioni e intelligenza, educa al bello, alla ricerca, alla curiosità, alla critica.
Ma certo l’offerta culturale deve essere economicamente sostenibile, così da assicurarla nel tempo. Per anni lo abbiamo ripetuto, sottolineando come per ragioni di immagine il governo Mucci facesse il passo più lungo della gamba e come la ricca proposta culturale e la realizzazione del nuovo museo siano stati pagati soprattutto con oneri di urbanizzazione, vale a dire in cambio della costruzione di palazzi e centri commerciali. E non si può educare al bello e all’arte, se la città viene imbruttita dal troppo cemento e deprivata dei luoghi storici che ne formano l’identità. Perché la cultura riguarda le arti, la pittura, il teatro, la musica… ma è anche un fatto urbano: riguarda la città, i beni architettonici, la sua armonia e bellezza, l’organizzazione dello spazio abitato e naturale.
A leggere i comunicati del PDL, rimaniamo sconcertati. Il tentativo di scaricare le responsabilità da parte di chi ha governato negli ultimi 10 anni, ha voluto la Fondazione Culturale 1860 e la più recente Fondazione MAGA mettendosele come un fiore all’occhiello, ci pare persino patetico. Come poteva Bossi non sapere, se ogni anno approvava in giunta il programma delle attività da cui, come da Convenzione, oltre ai titoli era presente il costo di ogni singolo spettacolo, il prezzo dei biglietti, gli incassi previsti, le spese generali della Fondazione? Come può pensare di lavarsi le mani con tanta viltà e rinnegare l’operato proprio, dell’ex sindaco Mucci e dell’ex Assessore alla Cultura?
Pari responsabilità deve essere assunta anche dal CdA tutto. Un Cda che approvava le proposte del direttore artistico e votava i bilanci. Non ci sono scuse per nessun membro del recente e del passato: o sapeva o, se non sapeva, deve spiegare la sua incompetenza alla città, spiegare perché ha assunto un ruolo che non è stato in grado di assolvere.
Ma anche quelle forze politiche che erano opposizione e che ora sono maggioranza non possono semplicemente affermare di essere stati completamente all’oscuro. Noi non intendiamo farlo. Nelle poche commissioni consiliari cultura convocate è stato proprio l’ora tanto colpevolizzato Gallina a spiegare la necessità di ridurre il numero degli spettacoli con l’obiettivo di contenere una spesa eccessiva.
Presentando, con una relazione scritta, la programmazione 2010/2011 proprio il direttore artistico ammetteva che “questi dati notevolmente rinfrancanti non devono innescare la sensazione che la Fondazione Culturale possa, quantomeno nel breve periodo, sganciarsi dalla necessità di un forte e continuativo sostegno pubblico, che anzi paradossalmente pare ancora insufficiente”. Contemporaneamente segnalava la “radicale flessione” dell’investimento pubblicitario dell’impresa, del sostegno privato e delle sponsorizzazioni, evidenziando la necessità di “un radicale risanamento” del bilancio non raggiungibile nell’arco di una stagione.
Ma una volta chiarite le responsabilità, che fare?
Primo: salvaguardare l’occupazione dei 6 lavoratori della Fondazione. Lavoratori che sono quasi stati additati come colpevoli di avere un contratto a tempo indeterminato. In un tempo in cui la precarietà la fa da padrona, noi invece apprezziamo la scelta di chi, applicando le leggi, dopo due contratti a tempo determinato ha trasformato quel contratto a tempo indeterminato, senza cercare escamotage tecnici per evitare il riconoscimento dei diritti.
Secondo: tra la rinuncia alla proposta culturale di qualità di cui abbiamo goduto (anche grazie all’opera del direttore artistico, la cui qualità professionale intendiamo riconoscere appieno) e il drastico taglio alle spese per il sociale o il ricorso alla cementificazione della città, ricercare una via nuova e alternativa. Vale a dire trovare l’equilibrio fra un’offerta culturale ridimensionata nei numeri ma di valore qualitativo, che non può essere semplicemente affidata alle pur apprezzabili associazioni locali (con le quali però serve finalmente avviare un percorso virtuoso di vera collaborazione e sostegno), favorire la cooperazione nella ricerca di fondi e sponsorizzazioni fra le agenzie culturali, mettere fine allo spoil system nella composizione dei CdA. E provare a sperimentare vie innovative nella ricerca dei soldi necessari ad assicurarci un’attività culturale in città. Come l’azionariato diffuso, che provi a creare una comunità di sostegno intorno ai teatri cittadini, rivolgendosi a chi ne beneficia: gli spettatori e la comunità locale. Una comunità di sostegno che viva il teatro non solo come il luogo dove andare ad assistere a un’opera, ma come un luogo affettivamente caro, che crea occasioni di incontro e reciprocità tale da rendere il teatro il proprio teatro, la cui esistenza assume significatività e valore.
Una proposta che certo potrebbe anche fallire, ma che almeno proverebbe a evitare quel taglio dell’offerta culturale cittadina che ad ogni modo prima o poi dovremo subire. Una proposta che se invece trovasse spazio e sostenitori, contribuirebbe a fare della cultura un sistema aperto, partecipato, trasparente, liberato da pressioni politiche, capace di promuovere sperimentazione e di coinvolgere in un processo creativo giovani e bambini.
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