Il Giro di Padania fa comodo a tutti

Molti, e non solo i leghisti, hanno trovato il modo di farsi notare a beneficio dei propri elettori-sostenitori-tesserati. A perderci sono solo i corridori e gli amanti del ciclismo

Negli ultimi anni della sua attività giornalistica, l’ex direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò teneva una rubrica dal titolo "Fatemi capire", che calza a pennello per parlare della stucchevole baraonda nata in questi giorni intorno al Giro di Padania. Perché il cittadino normale resta davvero con gli occhi sgranati davanti a quanto sta succedendo sui percorsi di una corsa ciclistica che fin dalla sua presentazione ha fatto discutere con toni accesissimi.

Partiamo dal nome: "Giro di Padania" è denominazione per lo meno infelice, più probabilmente provocatoria, secondo molti anche demenziale. Non per il nome in sé, quanto per il significato che inevitabilmente si porta dietro. Un nome che evidentemente era meglio non utilizzare, anche se non ci sono impedimenti formali a questa scelta. Come non ci sono leggi che vietano a senatori di organizzare una corsa (nella fattispecie Michelino Davico con la sua Monviso-Venezia) che fa parte a pieno titolo nel calendario italiano e internazionale. Un inserimento possibile perché in questo periodo il calendario italiano ha perso alcune corse importanti (anche il Giro del Lazio, per anni a livello della Tre Valli) e ha liberato così date e giorni per nuove competizioni. Gli appelli a presidenti del Coni, della Fci o dell’Uci hanno dunque poco senso pratico: ci si può legittimamente indignare o arrabbiarsi per questa denominazione, ma certe lettere paiono soprattutto fatte per ottenere spazi sulla stampa, locale e nazionale. E anche la "corsa di partito" non è una novità: nel Ventennio c’era la Predappio-Roma, con il ritorno alla Repubblica sono sorte gare come il Gp Liberazione organizzate dall’Unità, aperta ai dilettanti per poter avere anche i corridori del blocco sovietico. Corse cui i ciclisti hanno sempre partecipato senza impedimenti di sorta, impegnati a fare il proprio lavoro.

Capitolo corridori
appunto, e qui è bene che certe cose non vengano ignorate. Per un Ivan Basso che chiama ogni anno centinaia di migliaia di euro di solo ingaggio e per un drappello di atleti che con i propri risultati ha senz’altro un conto in banca notevole, ci sono decine e decine di pedalatori per cui le tappe del "Padania" sono normalissime giornate di lavoro. Non essendo una gara di primissimo piano, a questa corsa partecipano molte squadre definite "professional" e "continental", le Serie B e C del ciclismo. Squadre che spesso sopravvivono a malapena da una stagione con l’altra, in cui sono molti i corridori che guadagnano (quando prendono gli stipendi pieni…) quanto un operaio o un impiegato. E ancora ci sono gli stager: corridori di categoria giovanile che hanno l’occasione di provare a correre accanto ai professionisti. Gente dal futuro (e dal presente) incerto, lontana dalle tappe dorate di Giro, Tour e Classiche Monumento: è il caso per esempio di Sonny Colbrelli, colpito con un pugno in un occhio da un manifestante. Quasi tutti i corridori impegnati dunque, corrono per fare il proprio mestiere, chiamati dalle proprie squadre che a propria volta fanno ciò per cui sono nate. Difficile che i 200 al via – tra italiani e stranieri – abbiano tutti idee secessioniste: molti magari hanno il voltastomaco a vedere certe facce nell’organizzazione ma a tanti lavoratori succede ciò, ogni mattina. E nessuno si sogna di far boicottare loro la fabbrica o l’ufficio. Proprio per questo, una delle cose più brutte che si sono viste in questi giorni è stata l’aggressione (fisica o a parole) degli atleti che, per inciso, si sparano 200 chilometri di fatica al giorno: anche solo per questo andrebbero rispettati.

Chiudiamo con alcune considerazioni: il sospetto sempre più forte è che questa corsa sia adoperata un po’ da tutti per fare pubblicità a se stessi, qualunque sia la bandiera – verde, rossa e altro ancora – che si tiene tra le mani. Dal senatore-sottosegretario-organizzatore, solerte a dirigere il "Padania" mentre in Parlamento si vara una manovra epocale per i cittadini, alla galassia di contestatori (sindacali, partitici e altri…) che non mancano mai quando bisogna essere "contro" qualcun altro, sino a certi politici che si aggrappano allo sport (favorendo o boicottando l’evento) solo per ribadire le proprie prerogative personali. Il tutto condito da paradossi davvero incomprensibili all’uomo della strada, come le sponsorizzazioni della "romanissima" Alitalia o di alcune cooperative "rosse" (soldi agli uni, pubblicità agli altri: tutti con il naso turato?) o le proteste di attivisti che vogliono il separatismo in Spagna ma non in Italia.
Insomma, sembra che tutti abbiano trovato il modo di farsi notare a beneficio dei propri elettori-sostenitori-tesserati. Con buona pace del ciclismo che torna a far parlare di sé per fatti quasi esclusivamente di cronaca, e dell’uomo comune che continua a domandarsi perché i politici di ogni schieramento si scaldino più per questo che per la manovra fiscale. Fatemi capire, direbbe un Cannavò disorientato a propria volta.

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Pubblicato il 08 Settembre 2011
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