“Da ragazzo sognavo l’America”
Valter Lazzari è il nuovo rettore della Liuc. In questa intervista racconta la sua storia personale e professionale
“Da ragazzo sognavo l’America e, una volta finita l’università, se non ci fossi andato il mio percorso sarebbe stato molto diverso”. Dal primo novembre, Valter Lazzari è il nuovo rettore della Liuc di Castellanza. Un pallino per l’inglese e l’internazionalizzazione, “per me quei quattro anni all’estero furono un’esperienza straordinaria. Oggi per i giovani che vogliono fare carriera è imprescindibile”. Si destreggia bene tra finanza e citazioni storiche, con un amore subito palpabile per il proprio lavoro.
«L’università, malgrado i momenti difficili, ha resistito mille anni perché è un’esperienza di vita che offre grandi opportunità di relazioni. Pensando a questa istituzione mi viene in mente l’Odissea. Un libro che ha ancora un grande successo perché è il viaggio in sé che ha valore e non solo la meta finale. Allo stesso modo un ragazzo non deve pensare solo a un buon risultato del singolo esame, ma alle opportunità che può trovare nella vita universitaria»
Come è arrivato a diventare rettore?
«Se dieci anni fa mi avessero detto che sarei diventato rettore, mi sarei messo a ridere. Non pensavo di fare una carriera così, e sono grato a chi mi ha dato questa opportunità. Io sono abituato a lavorare e non solo a far lavorare. Ovviamente sono molto contento ed è una bella sfida professionale».
Qual è stato il suo percorso formativo e la sua carriera?
«Sono nato a Piacenza nel 1963 e già negli anni delle scuole superiori ho capito che la mia carriera si sarebbe basata sul conoscere nuove cose e quindi alzare le aspirazioni. Da ragazzino volevo andare a lavorare in banca, poi ho scoperto che c’era l’economia. Mi sono laureato alla Bocconi di Milano nel 1987. Finita l’università, senza sapere una parola di inglese e avere un soldo, ho vinto una borsa di studio e sono andato in America a studiare finanza restando lì per quattro anni. Nel 1990 ho conseguito il M.A. e nel 1993 il Ph.D. in Economia presso la University of Washington negli Stati Uniti. Questo percorso mi ha insegnato che man mano che si conosce, si può alzare il tiro e porsi obiettivi maggiori».
E quando è rientrato in Italia cosa ha fatto?
Dal 1994 al 1998 sono stato ricercatore, e poi professore associato presso l’Università Bocconi di Milano. Dal 1996 sono docente di Banking and Finance presso la SDA Bocconi di Milano, ove ho ricoperto anche la carica di direttore del Master in Business Administration (MBA). Dal 2000 sono diventato ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari alla LIUC, e dal 2006 sono preside della Facoltà di Economia. E ora la sfida del rettorato»
La Liuc è un po’ la sua università. Quali sono i vantaggi di una scelta interna?
«Conosco la “macchina” con tutte le opportunità e anche i problemi. È certo che una scelta interna porta con sé entrambe le cose, ma penso che con questa consapevolezza si può lavorare bene. La conoscenza è un grande valore e troppo spesso si ha il mito dello “straniero” di uno che viene da fuori e può fare chissà che cosa. Il mito del grande manager, come ci siamo abituati con figure come Marchionne o Profumo, spesso non considera che dietro a questi ci sono centinaia di persone che fanno girare la realtà»
Quali sono i punti di forza della Liuc?
«Crediamo fortemente in tre concetti, semplici ma importanti, intorno a cui ruota tutta la vita dell’Università. Il primo è il concetto di comunità. Una comunità fatta di studenti, docenti, servizi tecnici, ma anche di aziende che vengono a contribuire ai nostri corsi e ad assumere le persone. Secondo, noi crediamo nell’empowerment, nel fatto di rendere le persone capaci di fare le cose e perseguire una carriera e quindi i loro sogni. Non crediamo assolutamente nel titolo di studio come un pezzo di carta. Terzo, noi crediamo nelle opportunità, perché oltre a dare alle persone la capacità di fare le cose poi bisogna dare le possibilità di metterle in pratica che significa anche aprirsi al mondo, favorire gli scambi internazionali, fare degli stage, apprendere nuove cose, perché alla fine le persone desiderano quello che conoscono. Per cui più conoscono, più desiderano e possono porsi ambizioni e, come diceva Marco Aurelio “è impossibile per un uomo valere più delle sue ambizioni. Magari vale molto meno se è troppo ambizioso, ma se non ha delle ambizioni non vale niente”».
Viviamo un momento di crisi terribile. Quali sono i consigli che si sente di dare a un suo giovane studente?
«Siamo dentro una crisi che è come una sbornia, un sovra investimento. Mi viene in mente la prima parte del secolo scorso in America. A New York costruirono a tempo di record l’Empire State building, ma poi ci vollero anni prima di affittarlo tutto. A questo si unisce un ribaltamento di paradigma rispetto ai rapporti tra paesi avanzati e quelli in via di sviluppo. Fino al secolo scorso i primi andavano a investire nei secondi per allargare mercati e produrre maggiore ricchezza per tutti. Oggi sono quelli in via di sviluppo a farlo e c’è una vera e propria ubriacatura delle economie che ha prodotto un debito inverosimile. I giovani non devono fermarsi rispetto a queste situazioni, ma devono fare i conti seriamente con i cambiamenti che stanno intervenendo. Devono aprirsi al mondo e fare esperienze soprattutto fuori dall’Italia. Questo non vuol dire alimentare la classica paura della “fuga di cervelli”, ma permettere ai giovani di conoscere e quindi migliorare la propria condizione».
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