Sfruttati ma in forma. I nuovi proletari lavorano nel fitness

Sottopagati e senza garanzie. Una legge dello stato consente alle associazioni sportive dilettantistiche di avere un regime contributivo agevolato purché non siano a fini di lucro. Ma qualcuno ne approfitta

Dodici euro lordi all’ora. Si scende a 8 euro nel caso di lezioni a privati. E che sia feriale o festivo non fa alcuna differenza. Niente ferie pagate e tanti scongiuri contro gli imprevisti della vita, perché per loro non c’è alcuna copertura. Rimborsi (tecnicamente non sono retribuzioni) mensili che arrivano a malapena a 1.100 euro, redditi annui che non superano, nemmeno a suon di straordinari, gli 11 mila euro. Sono i collaboratori delle associazioni sportive dilettantistiche, i nuovi proletari del fitness, per lo più istruttori di ginnastica e fisioterapisti con tanto di diploma universitario che passano la loro vita in palestra a “insegnare“ la salute agli altri. Però, loro, non si possono ammalare perché non hanno contributi previdenziali e, se sono donne, la maternità diventa un problema. Molti scelgono di assicurarsi privatamente con una spesa minima che si aggira intorno agli 800 euro all’anno.
Sia ben chiaro, è tutto legale e legittimo perché c’è una legge dello Stato che prevede questo regime agevolato. Le società sportive dilettantistiche, non avendo fini di lucro, non navigano mai in buone acque economiche e quindi il legislatore, con l’esenzione dai contributi per i rimborsi che non superano i 7.500 euro, ha pensato di aiutarle.
Il problema, però, è un altro, perché in alcuni casi queste associazioni hanno fini di lucro e si infilano nelle maglie larghe della legge, sfruttando agevolazioni che non gli spettano. «Noi siamo uno spaccato della società in cui viviamo – spiega Fausto Origlio, presidente del Comitato provinciale del Coni – e quindi puo’ essere anche ragionevole ipotizzare che ci siano strutture che operano apparentemente un’attività, ma di fatto ne svolgono un’altra, cioè con fini di lucro e quindi fanno elusione ed evasione, facendo un danno enorme allo sport».
Un’associazione sportiva dilettantistica, per essere considerata tale e quindi assoggettabile al regime fiscale agevolato, deve soddisfare due passaggi: presentare uno statuto che contenga gli elementi fondanti previsti dal Coni, primo fra tutti l’assenza dei fini di lucro, e chiedere l’iscrizione nell’apposito registro delle società sportive che viene trasmesso all’Agenzia delle Entrate per i vari controlli. «Le garantisco – continua Origlio – che la Guardia di Finanza interviene, ma come sempre il tutto è lasciato alla struttura di sistema e chi approfitta di questa situazione si pone la fatidica domanda: ma quante probabilità ho che mi vengano a prendere? È un settore particolare e quindi i controlli si concentrano su altri ambienti. Anche noi, come Coni, stiamo con gli occhi aperti. Anzi, io inserisco un passaggio ulteriore perché voglio che le società sportive dilettantistiche abbiano un’attività giovanile in modo da poter attingere ai fondi del 5 per mille. Nella stragrande maggioranza dei casi le associazioni sportive sono vere e serie, composte da persone che ci mettono passione e risorse proprie. Quando sento certi racconti rimango mortificato è offeso perché non è giusto che dei giovani lavoratori vengano sfruttati in maniera volgare in un ambiente che invece ha dei sani principi ispiratori».
In realtà il fenomeno del precariato è molto diffuso nelle palestre e nei centri fitness, indipendentemente dal fatto che siano a scopo di lucro oppure no, come spiega  Francesco Vazzana, segretario del Nidil, la categoria dei lavoratori atipici della Cgil. «Da noi ogni giorno – dice il sindacalista – arrivano molti di questi lavoratori con contratti che, anche quando sono fatti in maniera trasparente, ricalcano le collaborazioni occasionali. Questo vuol dire che i datori di lavoro hanno un ulteriore guadagno perché evitano la contribuzione normale, mentre i lavoratori sono senza garanzie. In genere si rivolgono al sindacato quando hanno un problema specifico come, ad esempio, la maternità. Purtroppo vivono la condizione di sfruttamento in modo individuale, nonostante siano diverse migliaia nella nostra provincia. Dovrebbero essere più solidali tra loro».
Rispolverando un concetto vetero-marxista, il segretario del Nidil sottolinea che c’è «una mancanza di consapevolezza di classe». E per recuperarla ci vuole molto esercizio.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Novembre 2011
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