“Golpe costituzionale” in Senegal, la polizia spara e uccide
Il Senegal è sconvolto dalla crisi politica più grave della sua storia. Migliaia di cittadini, sopratutto giovani, protestano da settimane contro la candidatura alle elezioni di domenica prossima dell’attuale presidente

Abdulaye Wade, ormai 85enne e che dopo 12 anni ininterrotti di governo ha perso l’appoggio di gran parte del paese, è stato ammesso grazie a quello che è stato definito un “golpe costituzionale”. Sfruttando il fatto che è stato proprio lui a modificare la costituzione durante il suo primo incarico introducendo il limite di due mandati per il presidente, quel mandato non sarebbe da contare e, quindi, l’anziano presidente non correrebbe per il terzo mandato ma -ancora- per il secondo. Questo discutibile escamotage che aggira la costituzione non è andato giù alla popolazione che da quel giorno, attraverso movimenti della società civile come “Y’en a Marre” e “M23”, ha iniziato la battaglia per far sì che Wade abbandoni la corsa alla presidenza. La protesta da Dakar è rapidamente dilagata in tutto il Senegal. E altrettanto rapidamente è dilagata la repressione. Il pugno di ferro della polizia ha causato numerosi feriti e, in sole 3 settimane, ben 8 morti. L’ultimo in ordine di tempo è stato un ragazzo di Rufisque, colpito in pieno volto da un colpo d’arma da fuoco sparato dai militari che cercavano si sgomberare i manifestanti.
«La situazione sta degenerando» commenta Luciana de Michele, corrispondente dal Senegal per la rivista assaman.info che attraverso il blog tongante2012.altervista.org sta fornendo una puntuale analisi degli avvenimenti senegalesi. «Wade assicura di vincere al primo turno -continua la giornalista- e se veramente arriverà alle elezioni è probabile che questo si verifichi». Una vittoria dettata non certo da un effettivo appoggio nel Paese ma grazie a brogli elettorali già largamente denunciati da diversi leader delle opposizioni e contro i quali gli ispettori dell’Unione Africana sembra possano fare ben poco. Ma le elezioni incombono e «Wade certo non si ritirerà» con conseguenze inimmaginabili per il Paese. I candidati e i movimenti di giovani hanno infatti già assicurato che «se Wade vincerà, renderanno il Paese ingovernabile» e il Senegal rischia così di scivolare in una pericolosa spirale di instabilità e violenza che non ha mai visto nella sua storia. Intanto arrivano i primi dati sulle votazioni dei militari (svoltesi lo scorso week end, ndr) che registrano «un’affluenza bassissima, segno che Wade non ha tutto il sostegno che credeva tra le fila dei militari». Ma la prospettiva di un golpe militare, opzione largamente diffusa in altri paesi del continente, è «almeno per ora da escludere perchè tra i militari prevale una specie di indifferenza».
In questo preoccupante contesto, le diplomazie mondiali stanno a guardare. Solo Francia e Stati Uniti hanno contestare la candidatura di Wade che, al momento, pare non possa fare affidamento su nessun potenza estera. «Ma il Senegal non ha alcuna risorsa mineraria significativa e quindi è poco probabile un vigoroso intervento dei Paesi occidentali», chiosa Luciana de Michele.
La situazione è quindi molto delicata e le elezioni di domenica prossima non porranno certo fine alla crisi. Anzi, potrebbero segnarne il vero inizio.
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