Marx alla Vht non troverebbe posto
Dov'è finita la conflittualità tra capitale e lavoro se proprietà, manager, tecnici e operai stanno «tutti dalla stessa parte della scrivania» e se anche i lavoratori sono un po' padroni con il 20% del capitale della società per cui lavorano a loro riservato?
Dov’è finita la conflittualità tra capitale e lavoro se proprietà, manager, tecnici e operai stanno «tutti dalla stessa parte della scrivania» e se anche i lavoratori sono un po’ padroni con il 20% del capitale della società per cui lavorano a loro riservato? E che cosa dire di un direttore di produzione, o production manager, il Cerbero per antonomasia della fabbrica, che mangia con i suoi lavoratori con la schiscetta portata da casa?
Se Marx entrasse alla Vht, neonata azienda metalmeccanica di Bodio Lomnago, quelle domande se le dovrebbe porre, perché lì tutto questo accade. Valter Broggi, direttore di produzione, è una vita che lavora nel settore dei paranchi elettrici, dispositivi di sollevamento utilizzati in molti settori (dall’alimentare al metallurgico). Broggi, ogni giorno, da quando l’azienda è nata, mangia con i suoi operai nel capannone. «È fondamentale stare insieme – spiega il direttore di produzione – confrontarsi sui problemi tecnici che riguardano il prodotto e il processo, solo così possiamo vincere questa sfida. La globalizzazione ti obbliga ad allargare lo sguardo su ciò che fai».
Il "padre" della Vht, Libero Donati, parla di ethos (etica) e pathos (emozione), come componenti fondamentali di questa sfida. L’etica è quella del lavoro, di chi sa fare il prodotto con qualità e responsabilità, perché se il paranco è costruito male, qualcuno ci rimette la vita . L’emozione è data dalla partecipazione al progetto. I soldi, infatti, sono solo un pezzo del problema. Una volta trovati, bisogna accettare un nuovo paradigma, un nuovo modello che guardi oltre la crisi. In altre parole occorre ridefinire il proprio ruolo e le proprie responsabilità. «Io mi fido di quello che fanno i miei colleghi – dice Riccardo Rabuffetti, tecnico di progettazione – perché so che tutti noi guardiamo all’azienda nel suo complesso. Ci sentiamo coinvolti in prima persona, siamo parte del progetto. Nessuno qui dice: "ho fatto il mio e quindi sono a posto". È il lavoro di tutti, se fatto bene, che garantisce il buon prodotto e quindi i nostri posti di lavoro». Michele Ambrosoli, che si occupa dei codici di prodotto, annuisce con la testa e mostra con orgoglio il foglio che contiene il suo lavoro.
Riccardo e Michele fanno parte dei magnifici tredici, i primi lavoratori assunti dalla Vht. Tra loro c’è anche Ildebrando, figlio di Donati, amministratore delegato dell’azienda. Fa il disegnatore e non si atteggia a figlio del capo. Nonostante la giovane età, sono persone con una grande esperienza nel settore, tutte accomunate dalla voglia di mettersi in gioco. Quando si muovono all’interno dell’azienda non hanno l’aria di essere dei dipendenti: aprono, chiudono, accolgono, spiegano, il tutto senza alcuna deferenza verso quelli che dovrebbero essere i vertici. E non è un caso, considerato che la Vht è stata definita dagli stessi fondatori «un’avventura imprenditoriale orizzontale».
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