I lunghi giorni d’attesa dei rifugiati
A Villa Calderara, sulla collina di Cedrate, sono rimasti in 16. Le giornate sono riempite solo in parte dai corsi d'italiano e dal lavoro volontario di pulizia delle strade. Il sogno però rimane avere i documenti e riprendere a vivere
I giorni sono lunghi, in una vita sospesa e in attesa: i rifugiati arrivati dalla Libia sono arrivati a Gallarate un anno fa e ancora, in gran parte, attendono di sapere il loro futuro. «Altri mesi ancora, noi non sappiamo quando» dice un profugo del Mali, uno di quelli che più a fatica cerca un dialogo con chi si presenta a Villa Calderara, la struttura del Comune dove sono ospitati da tempo.
C’è chi si è dato disponibile per fare lavoro volontario e passa una parte delle sue giornate impegnato nella pulizia delle piccole discariche che si trovano qua e là nei boschi e ai margini delle strade di Gallarate. «Cinque di loro lavorano in modo continuativo, assistiti dai tutor della nostra azienda comunale Amsc» spiega l’assessore ai servizi sociali di Gallarate Margherita Silvestrini. Ma anche il lavoro volontario, anche se riempie il tempo, non da nessuna prospettiva di vita: i rifugiati non hanno praticamente soldi in tasca, vivono un tempo sospeso, oltretutto in gran parte sono giovani o giovanissimi, alcuni poco più che ventenni. Vorrebbero poter andare per la loro strada, ma sanno che l’unico modo per sperare in un futuro regolare è attendere l’esame del loro singolo caso.
Quanti sono dunque oggi? Sono quasi tutti dell’Africa nera, Nigeria, Costa d’Avorio, Mali. «Abbiamo 15 ospiti, 9 di loro attendono ancora la convocazione in commissione, di presentarsi davanti ai funzionari per raccontare la loro storia: saranno convocati a settembre» continua l’assessore Silvestrini. Qualcuno ha già visto respinta la domanda di asilo e se n’è andato, come il piccolo gruppo dei pakistani. «Quanto agli altri 6, alcuni aspettano l’esito della sentenza di ricorso, altri attendono la convocazione per l’avvio del ricorso (dopo che una prima domanda era stata rigettata, ndr), altri hanno già un permesso e attendono di avere i documenti». Tra loro c’è anche Abdoul Diaby, il calciatore della Costa d’Avorio che è stato operato per una brutta frattura mal curata in Libia: nel suo caso si aggiunge dunque anche un problema concreto, che per avere il passaporto deve presentarsi fisicamente all’ambasciata di Roma e non è in condizioni di affrontare il viaggio.
Per il resto – lavoro volontario a parte – i rifugiati "gallaratesi" hanno seguito i corsi d’italiano, ora con l’estate ne seguiranno uno professionale con il centro Eda e uno sulla sicurezza del lavoro. Un po’ l’associazioni, ma soprattutto le comunità marocchina e pakistana si sono date da fare per aiutarli, nel periodo del Ramadan ogni giorno i rifugiati musulmani scendevano fino al tendone della preghiera. Ci sono delle biciclette, a voltesi scende in centro a Gallarate per un giro. Ma la convivenza in un unico edificio non è semplice facilissima, un anno di attesa e di giorni vuoti pesano. Lo vedi negli occhi dei ragazzi ma a volte anche nei corpi, alcuni sono arrivati ventenni muscolosi (in Libia, in gran parte, facevano gli operai edili) e dopo un anno si vedono a volte appesantiti anche nel fisico. «Vorrei solo vivere la mia vita – dice uno di loro – qui o in altro Paese. Non nel mio Paese, perché lì non posso tornare. Vorrei solo vivere» Quando finirà l’attesa?
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