Da vittima a pedina dei boss, scatta il maxisequestro

Imprenditore nel mirino. Aveva barche sul Lago Maggiore, case nel milanese, una autorimessa a Busto Arsizio, ma aveva intestato tutto a dei nullatenenti. La criminalità organizzata lo aveva prima taglieggiato, e poi "aiutato"

La parabola di Gianmario Siracusano è incredibile e racconta meglio di ogni libro che cosa sia la mafia. La squadra mobile di Varese, indagando sul 38enne ristoratore, ha scoperto che deteneva beni e conti correnti intestati in realtà a prestanome ma a lui riconducibili  e di provenienza sospetta, per svariati milioni di euro. La Direzione investigativa antimafia ha ottenuto dal tribunale di Milano un maxi sequestro che comprende grossi motoscafi, ville e auto. L’uomo era già stato arrestato nel giugno 2011 per favoreggiamento nei confronti dei mafiosi gelesi che imperversavano a Busto Arsizio e anche per falsa testimonianza.

Il suo nome era infatti comparso nell’inchiesta “Fire off” della squadra mobile, inizialmente come persona offesa. Era lui infatti il ristoratore di Busto Garolfo (dove gestiva “la dolce Giorgi”) a cui il boss Rosario Vizzini aveva estorto cene di pesce gratuite, automobili, e persino l‘uso di una bella villa a Magnago. L’uomo aveva solo piccoli precedenti e quando gli esponenti del clan Rinzivillo, di stanza a Busto Arsizio, cominciano a prenderlo di mira: cede a estorsioni di ogni genere fino a diventare complice dei boss. Invece di andare dai giudici, si rivolge ad esempio a Vizzini per evitare pressioni da un gruppo di calabresi che voleva imporgli l’installazione di videopoker nel suo locale, oppure ai mafiosi chiede di effettuare un recupero crediti verso un altro imprenditore che non lo pagava. Ovviamente i siciliani risolvono tutto in fretta e a modo loro, ma così l’imprenditore diventa definitivamente una pedina della cosca.

Quando scattano gli arresti dell’indagine “Fire off” (il gruppo criminale  – nella foto – capeggiato da Rosario Vizzini e Fabio Nicastro, responsabili di estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti nel circondario di Busto Arsizio, nonché dell’omicidio con il metodo della “lupara bianca” del pregiudicato Salvatore D’Aleo, i cui resti sono stati rinvenuti nei boschi di Vizzola Ticino) Gianmario Siracusano passa definitivamente dalla parte del torto. Dopo l’arresto per favoreggiamento personale con l’aggravante mafiosa, e per falsa testimonianza perché difende Nicastro e Vizzini, cerca persino di far passare la moglie, che aveva denunciato alla polizia le estorsioni, per una matta, spedendo una lettera dal carcere e chiedendo l’intervento di uno psichiatra. La squadra mobile di Varese gli chiede conto delle sue dichiarazioni come parte lesa nega tutto o dice di non ricordare.
Infine, la polizia lo mette sotto controllo e si accorge che, rispetto al suo tenore di vita, l’uomo ha una disponibilità spropositata di beni e denaro. I sequestri di oggi colpiscono infatti 11 immobili nei comuni di San Vittore Olona (Milano), Magnago (Milano), Busto Arsizio (dove sono state bloccate una autorimessa in via Oleggio e un terreno adiacente) e Legnano (Milano). Sequestrati anche tre autoveicoli di grossa cilindrata, un’imbarcazione da diporto custodita ad Angera e tre barche di grossa taglia a Sesto Calende (all’interno del cantiere nautico Verbella, estraneo ai fatti), 3 società, innumerevoli conti correnti. Ironia della sorte, Siracusano è accusato di favorire la cosca mafiosa che lo aveva danneggiato, mentre il boss Rosario Vizzini oggi è un collaboratore di giustizia.

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Pubblicato il 18 Luglio 2012
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