Professore, il mondo di Hegel non esiste
«Ho insegnato filosofia per 40 anni e il fine pratico (in senso sia morale-individuale sia etico-civile) che ha sempre guidato il mio insegnamento è stato quello di mostrare ai miei allievi che tale disciplina, certamente non da sola, è la via maestra»
Le aporie sorgenti dai rapporti fra le idee e le cose sensibili in Platone; il destino autoconfutatorio dello scetticismo nel ragionamento "elenctico" attraverso cui Aristotele fonda il principio di non contraddizione; l’argomento del "terzo uom" nella critica aristotelica e, prima ancora, nell’autocritica platonica della dottrina delle idee; la prova ontologica dell’esistenza di Dio in Anselmo di Aosta e le critiche di Gaunilone, di Kant e di Russell; la contraddittorietà del principio dell’autocausazione e dell’automovimento nelle prove "a posteriori" dell’esistenza di Dio elaborate da Tommaso d’Aquino; il conflitto epistemologico tra realismo e strumentalismo nell’interpretazione della "rivoluzione scientifica" copernicana; il carattere aporetico del dualismo cartesiano; la dimostrazione dell’unicità della sostanza in Spinoza; la deduzione trascendentale delle categorie e le antinomie della ragione in Kant; la deduzione dialettica dell’Io puro in Fichte; l’identità fra soggetto e oggetto nella concezione hegeliana dell’Assoluto; l’inversione dei rapporti di predicazione in Feuerbach; l’analisi del feticismo della merce e la teoria del plusvalore in Marx; l’uomo come “essere delle lontananze” in Heidegger; l’uomo come “essere che è ciò che non è e non è ciò che è” in Sartre; l’uomo come allotropo empirico-trascendentale in Foucault… Ecco i ‘passaggi’ (alcuni fondamentali, altri opzionali) che fanno dello studio della filosofia una prova difficile e impegnativa che permette allo studente di verificare il suo personale rapporto di adeguatezza o inadeguatezza rispetto alla comprensione di questo universo concettuale.
Nel corso della mia carriera, avendo insegnato filosofia prevalentemente al liceo scientifico, devo riconoscere che il liceo scientifico offre una formazione più completa di quella, pur assai pregevole, culturalmente raffinata e metodologicamente rigorosa, che offre il liceo classico, poiché, a differenza di quest’ultimo, non è sbilanciato eccessivamente verso un determinato gruppo di materie e consente la convivenza, su un piede di parità, delle “due culture” (quella umanistica e quella scientifica) di cui ha parlato Charles Snow nel suo noto libriccino. Il principale difetto del liceo scientifico, nondimeno, è quello di non fare posto alle scienze sociali (economia, diritto, psicologia e sociologia), che costituiscono l’anello mancante, il vincolo di connessione strutturale fra le materie umanistiche e quelle scientifiche, destinate, diversamente, a rimanere separate fra loro da un abisso incolmabile.
Tre giudizi particolarmente significativi, fra quelli che io stesso solevo sollecitare dai miei allievi al termine delle lezioni dedicate a pensatori fondamentali della storia della filosofia, mi piace in questa sede ricordare. «Il mondo di Hegel non esiste», rispose in modo perentorio un mio studente, Mario Perego, nel lontano 1988. Ma è proprio per renderne possibile la conoscenza e la comprensione – gli feci osservare – che i filosofi come Hegel hanno costruito e fatto funzionare, attraverso determinate categorie concettuali, i loro ‘mondi’: in effetti, il concetto di cane non abbaia. «La scienza a nulla servirebbe se non servisse a mettere in rilievo la dignità dell’uomo», asserì in modo paradigmatico, citando Kant, un altro mio studente, Stefano Zibetti, nel 1995. «Marx è una pietra miliare della storia della filosofia», rilevò nel 1989 in modo lapidario un altro studente di Somma Lombardo, di cui non ricordo il nome.
Come risulta, a ben guardare, anche dalle risposte di studenti particolarmente attenti e motivati, quali sono quelli di cui ho citato i giudizi, il punto archimedico dello studio della filosofia (e della stessa filosofia ‘tout court’) è il rapporto tra logica e storia. Va detto allora che tale rapporto è fondato sulla duplice consapevolezza che, per un verso, non vi sono proposizioni filosofiche che godano di una sorta di statuto di extraterritorialità rispetto ai condizionamenti (economici, politici e ideologici) della storia e, per un altro verso, tali proposizioni, quando sono il frutto di una ricerca logicamente argomentata e autenticamente filosofica, ci offrono delle verità che, pur non essendo assolute e restando, fino a prova contraria, relative, non per questo sono prive di valore e di oggettività. Orbene, posso dire, avendo fatto tesoro di questa premessa teoretica, che il fine pratico (in senso sia morale-individuale sia etico-civile) che ha sempre guidato il mio insegnamento della filosofia è stato quello consistente nel mostrare ai miei allievi che tale disciplina, certamente non da sola ma in un costante rapporto di ‘concordia discors’ con tutte le altre discipline, è la via maestra per giungere a trasformare il destino in libertà e la natura in causalità. Precisamente questo è stato il contenuto cognitivo e valoriale sotteso a tutte le mie lezioni. Ritengo che un certo numero di allievi lo abbiano còlto, un grande numero forse solo intuìto, pochi siano rimasti indifferenti (esiste, come è noto, anche la cosiddetta ‘ignava ratio’ e lo stesso insegnante, anche se nei momenti migliori possa illudersi di esserlo, non è un demiurgo). La filosofia, del resto, è in sé una disciplina fortemente selettiva e quindi aristocratica, poiché la ragione stessa, che pure è in linea di principio universale, è, rispetto a categorie particolari ma assai potenti come il sentimento, la tradizione, il pregiudizio, l’immaginazione o la sensazione, un patrimonio per pochi. Presumo, fra l’altro, che proprio questo sia il motivo che spiega le valutazioni in genere piuttosto estensive che vengono formulate dagli insegnanti di filosofia sulle prestazioni dei loro allievi: una circostanza che spiega anche perché, nel mercato delle ripetizioni, essi non abbiano alcun posto (il che, tutto sommato, è da considerare un titolo di onore).
È un grande merito della scuola italiana, che va ascritto ai due diòscuri del neo-idealismo italiano, Croce e Gentile, aver dato all’insegnamento della filosofia un posto importante e non marginale nella ‘ratio studiorum’ dei licei. Occorre, tuttavia, ribadire, dissipando i persistenti equivoci alimentati da semplificazioni banali e da corrive demagogie, che l’accessibilità ‘alla’ cultura non coincide con l’accessibilità ‘della’ cultura e, quindi, con l’accessibilità della disciplina che della cultura è la spina dorsale. È questa la ragione per cui la filosofia, pur presentandosi alle giovani menti dei nostri studenti con un sorriso in apparenza accattivante, manterrà sempre l’attitudine enigmatica e sfuggente che si ritrova nel sorriso dell’àugure. È vero che quel sorriso è un invito, ma è altrettanto vero che esso è una sfida, poiché riguarda una delle prove più ardue che la ragione dell’uomo proponga all’uomo stesso.
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