“Fare il giornalista è meglio che lavorare”

Pierfausto Vedani riceverà la medaglia d'oro per i suoi 50 anni di attività giornalistica. In questa intervista racconta aneddoti e ricordi dalla Provincia di Como a Varesenews passando per La Prealpina

Un fanciullo di ottantanni. È lo spirito che contraddistingue da sempre questo grande giornalista varesino. Pierfausto Vedani riceverà la medaglia d’oro per i suoi 50 anni di attività giornalistica. In questa intervista racconta aneddoti e ricordi dalla Provincia di Como a Varesenews passando per La Prealpina

 
Come ci si sente con 50 anni di professione?
«A me succede di  sentirmi giovane ed entusiasta ogni volta che mi siedo davanti al computer per scrivere un articolo».
 
Cosa ti spinse a scegliere il lavoro di giornalista?
«La causa prossima fu l’incontro occasionale con un mio compagno di liceo, Natale Gagliardi, che mi propose di collaborare al quotidiano comasco L’Ordine. Ero iscritto a Giurisprudenza e frequentavo già lo studio di un avvocato civilista, amico di famiglia. Non ne potevo più. La causa remota della mia scelta fu una felicissima battuta di uno dei due Barzini, grandi  inviati: fare il giornalista è meglio che lavorare. Una verità evangelica, lo posso confermare».
 
Il 1963 è stato un anno con tanti avvenimenti. Solo per citarne alcuni: assassinio di JFK, discorso I have a dream di Martin Luther King, disastro del Vajont, morte di Giovanni XXIII, Paolo VI papa, primo Lp dei Beatles. Quale notizia ti colpì maggiormente?
«Sono state tutte notizie storiche che  hanno comportato anche svolte e cambiamenti  epocali. I Beatles mi hanno incuriosito, ma mai emozionato. Restando in Inghilterra ho trovato molto più interessante qualche tempo dopo Mary Quant con la sua rivoluzione della minigonna».
 
Quali sono le tappe della tua carriera che ricordi con piacere?
«Il termine carriera presuppone traguardi di rilievo che io non ho mai toccato, invece mi si è presentato un percorso professionale interessante perché  ricco di esperienze nuove. A livello di carta stampata non ha avuto segreti per me l’attività in quotidiani, mensili, settimanali, house organ; ho successivamente completato la mia formazione lavorando in tv e  alla radio; poi Marco Giovannelli   mi ha fatto chiudere il cerchio proiettandomi nel mondo dell’online. Ricordo sempre con piacere  tutti i miei inizi, sono stati numerosi e pure non facili, come qualsiasi vera sfida».
 
Ci racconti qualche episodio divertente…
«Cronista giudiziario a La Provincia di Como una mattina venni accettato al seguito del gruppo di lavoro che doveva fare accertamenti sul suicidio di un panettiere. Sopralluogo: il poveretto si era appiccato allo sportello del forno, si doveva accertare che la manovra fosse possibile. Feci da manichino vivente, mi misero il cappio “originale” al collo, mi inginocchiai e alcune manovre stabilirono che poteva essere stato suicidio. Solo l’esame esterno del cadavere avrebbe però dato la conferma. I familiari avevano composto la salma nella camera da letto: si trattava di un vero gigante. Il medico legale dottor Taiana disse che doveva esaminare la nuca del morto, chiese aiuto. Il maresciallo dei carabinieri fu perentorio: “Scusate, io comando la squadra di polizia giudiziaria, ma non tocco i cadaveri”; con la coda dell’occhio vidi il cancelliere Valenzano che si defilava dietro il pm dott. Ciraolo: capii subito che ero nel mirino e malvolentieri feci il passo avanti. Il dott. Taiana mi piazzò sulla destra del cadavere, al segnale del medico avrei dovuto sollevarlo assieme a lui. Cosa che avvenne, ma nel silenzio si sentì un agghiacciante mugolio-ululato sulla cui provenienza non ebbi dubbi: poteva essere stato solo il morto. Mollai tutto e impressionato battei in ritirata. Nella camera ci fu uno sforzo collettivo enorme, inumano, per non scoppiare a ridere: erano infatti presenti i parenti dell’estinto. Spiegazione: a causa dello sforzo per alzare la salma il  mugolio-ululato  era sfuggito al dott.Taiana. Per giorni evitai gli uffici della Procura».
 
Il tuo errore che più ti ha rammaricato…
«Aver creduto ciecamente agli inquirenti  in una indagine per contrabbando di valuta. L’indagato lo conoscevo bene, era uno dei ragazzi del mio quartiere, sapevo che contrabbandava, quella volta le circostanze  giocarono contro di lui, finì in galera. Quando uscì non mi fece scenate, ma fu in grado di dimostrarmi la sua innocenza, poi emersa al processo. Da allora, sono passati quasi sessant’anni, ho evitato accuratamente  di emettere sentenze prima dei giudici».
 
La cosa più bella che ricordi della tua lunga carriera?
«L’incontro con Gaspare Morgione, una delle meglio intelligenze che abbia mai conosciuto e anche il legame con una leggendaria redazione della “Prealpina”».
 
L’esperienza professionale che guardi con maggior affetto…
«L’ho appena detto, gli anni in via Tamagno con Mario Lodi direttore di un gruppo di lavoro irripetibile nel servizio alla città, nello stare insieme in perfetta armonia di intenti, nell’essere squadra. Si andava in ferie e non si vedeva l’ora che finissero per ritornare assieme. Eravamo un clan che amava la professione e Varese».
 
Quando hai iniziato a usare Internet?
«Dovresti saperlo meglio tu che mi hai incastrato bene quando sognavo  di fare il vecchietto al sole. Ti  devo ringraziare se Varesenews mi permette di percorrere il rettilineo d’arrivo senza farmi sentire solo un testimone di un passato remoto. A metà ottobre  saranno pure i cinquant’anni della mia attività a Varese, un motivo di riconoscenza in più  nei confronti vostri e anche di Radio Missione Francescana  che continuate a volermi come collaboratore. Devo gratitudine infinita anche alla città che mi accolse bene  facendomi  sentire a casa mia. Da subito Varese è stata in cima ai miei luoghi amati   e ci è rimasta. La comunità è straordinaria  come il territorio; è da primato nazionale la sua storica cultura del lavoro, incredibili le sue toppate urbanistiche da un secolo a questa parte. Le più recenti: il mancato trasferimento in aree idonee dei due ospedali.Un suicidio per una città- giardino. Varese la sento anche mia, da sempre. Ernest Hemingway è stato lo scrittore dei miei anni giovani, un vero  idolo. Quarant’anni dopo con  il Premio Chiara ho avuto la possibilità di conoscere e frequentare Fernanda Pivano, traduttrice e amica del grande romanziere.Non ho mai smesso di considerare questo incontro un dono di Varese. 
Proprio in questi giorni di anniversario ho trovato il  riscontro di una riflessione di Hemingway sulla vita. In “Verdi colline d’Africa “  egli ha scritto  che se hai veramente amato un luogo e una donna, dopo non ha importanza.
50 anni di attività dicono  anche che si è vicini al termine del cammino. La mia vicenda professionale e  familiare si adatta perfettamente a quanto dice Hemingway. Ha in più, guardando al “dopo”, la serenità della speranza cristiana».

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Pubblicato il 27 Marzo 2013
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