Arcisate-Stabio: i sindacati fanno muro contro i licenziamenti

I sindacati: "Diteci quali sono i veri problemi" e i colleghi svizzeri insistono: "Paradossale che da noi la stessa azienda abbia concluso il cantiere in tempo, l'Italia difenda la sua immagine nel mondo"

Una storia che è andata avanti di tre mesi in tre mesi, fino all’ultimo stop. Per i sindacati la corsa a ostacoli dell’Arcisate-Stabio, naufragata ancora una volta nel blocco del cantiere e nella minaccia dei licenziamenti, è una catena di eventi e annunci che ad ogni stop rimanda di tre mesi la ricerca di una soluzione che alla fine, però, non si trova: «e a questo punto – spiega Flavio Nossa di Fillea Cgil – è meglio che ci dicano veramente quali sono i problemi perché temiamo che quello dello stoccaggio delle terre non sia l’unica nube che si è addensata su questo cantiere. Noi abbiamo solo delle ipotesi ma crediamo che ci sia di più di quello che dicono».
All’indomani del nuovo annuncio del fermo dei lavori da parte dell’azienda, che segue di poche ore l’annuncio dell’assessore regionale Del Tenno che, invece, si era vicini ad una soluzione, le sigle sindacali unite (Fillea Cgil, Filca Cisl, Fenea Uil) si preparano ad una nuova levata di scudi per difendere i lavoratori impiegati nel cantiere.
L’annuncio di nuove proteste che segue di pochi mesi l’ultimo blocco stradale che i lavoratori avevano messo in atto sulla strada di collegamento alla Svizzera alla frontiera di Gaggiolo. Allora i rappresentanti dei lavoratori chiedevano, ovviamente, la ripresa dei lavori ma anche il coinvolgimento dei sindacati e dei rappresentanti istituzionali del territorio al tavolo di trattative tra la Regione e le aziende in campo, Rfi e la ICS Grandi Lavori dell’ingegneri Salini.
Oggi si trovano con le stesse richieste ma con una catena di fallimenti ancora più lunga. «Nella serata di Lunedì 16 settembre una nuova riunione vedrà coinvolti la Regione e le due aziende – spiegano i sindacati – per un problema che in realtà riguarda gli operai che lavorano al cantiere, i 45mila abitanti che ci convivono e gli svizzeri che, invece, la loro parte di opera l’anno già portata avanti».
E per far emergere in modo ancor più vibrante il paradosso di un cantiere che si blocca o che ha già concluso i lavori a seconda del versante del confine italo svizzero dal quale lo si guarda, alla conferenza stampa indetta dai sindacati italiani erano presenti anche i colleghi svizzeri della Unia. Per loro ha parlato Sergio Aureli, incapace di comprendere come la stessa azienda che ha lavorato con gli svizzeri da questa parte abbia invece avuto questi problemi: «quando questa opera era partita la Svizzera vi aveva visto delle grandi possibilità occupazionali anche in relazione alla scadenza concordata che avrebbe previsto il suo sfruttamento per l’Expo del 2015. Ora, di fronte ad un cantiere di carattere internazionale, ci auguriamo solo che l’Italia possa far ripartire i lavori nell’interesse della sua immagine nel mondo e nell’interesse dei suoi cittadini che devono convivere con gli scavi aperti».
Ad Expo mancano ormai poco più di 19 mesi, considerando i tempi per i test e le autorizzazioni per far partire la ferrovia una volta ultimata l’opera a spanne sarebbe necessario finire i lavori entro 15 mesi. E aro oggi siamo fermi. «Noi dobbiamo continuare a credere che sia possibile finire i lavori in tempo – spiegano i sindacati -. E ci crediamo, ma bisogna ripartire subito perché l’assegnazione del cantiere a una nuova ditta, se mai si riuscisse a fare, allungherebbe infinitamente i tempi. Siamo disposti a ridiscutere turni e intensità del lavoro, ovviamente nel rispetto delle leggi e della sicurezza».
La loro prima preoccupazione, però, sono i lavoratori, «qualsiasi cosa dovessero decidere le aziende noi ci opponiamo fin da subito ai licenziamenti e nel caso di una rassegnazione chiediamo che vengano mantenute le attuali maestranze che ormai sono competenti sul cantiere e conoscono il territorio».

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Pubblicato il 16 Settembre 2013
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