Dal coworking al macellaio 2.0, crescono le opportunità in rete
Sono i wwworkers e cercano nuove modalità per fare business. Ne hanno parlato a Glocalnews Ivana Pais, Marco Pichetto, Massimo Carraro, Dario Di Vico e Giampaolo Colletti
Coworker, tir sharing, macellai 2.0. Crescono le nuove professionalità in rete, i cosiddetti wwworkers, e nascono nuove modalità per fare business. Ne hanno parlato a Glocalnews Ivana Pais (Università Cattolica), Marco Pichetto (sindaco di Veglio), Massimo Carraro (ideatore di Cowo), Dario Di Vico (Corriere della Sera), coordinati da Giampaolo Colletti.
Il sindaco di Veglio (Biella) non sapeva nemmeno cosa voleva dire coworking, lo ha scoperto ad un convegno. L’idea gli è piaciuta e così a un certo punto ha deciso di ristrutturare e mettere a norma un edificio comunale per darlo in condivisione a cinque lavoratori di diversi settori. «Lo spazio lo diamo in usufrutto d’uso gratuito – dice Pichetto – e loro si gestiscono il riscaldamento e gli altri costi vivi. Non ci pagano un affitto e collaborano, quando c’è bisogno, tra loro. È un modello per noi sostenibile che dà un senso alla comunità».
Ivana Pais ha lanciato subito una proposta: perché non far lavorare insieme i dipendenti comunali con i coworkers? «Nel coworking le persone portano le loro esperienze il proprio vissuto e lo mettono in rete – dice la sociologa -. L’aspetto interessante è che sono comunità di lavoratori che fanno lavori differenti e quindi si contaminano».
Il padre del coworking in Italia si chiama Massimo Carraro e la sua Cowo è uno dei pochi casi in cui una rete digitale è diventata reale. «L’importanza del digitale e della rete è il suo significato simbolico: se va bene a te puo’ andar bene anche a un altro che è vicino a te. Si cerca di far succedere qualcosa senza andare contro qualcun altro, ma insieme a qualcun altro. Il coworking serva a cambiare dal basso certe realtà e se cambio io perché non lo può fare qualcun altro?».
Il destino delle pmi nell’era digitale è un tema caro a Dario Di Vico che da giornalista ha raccontato questa mutazione genetica delle imprese, peraltro ancora in atto. «La qualità di questi nuovi imprenditori è alta – dice Di Vico – perché hanno una cifra cosmopolita, si confrontano con la discontinuità digitale e hanno un bagaglio di conoscenze prima impensabile. Certo si comincia dal digitale ma poi servono le politiche di accompagnamento che non devono tutelare ma stimolare per poi confrontarsi sul mercato».
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