Così la ‘ndrangheta intimidiva: “Quando esco di galera sei morto”

Una sola denuncia a fronte di decine di imprenditori che subivano in silenzio la prepotenza di Francesco De Marte e Diego Tripepi, una vita dentro e fuori dal carcere. C'era chi pagava il pizzo e lo stipendio al boss per non farlo rientrare in carcere

Violenti, esaltati e spesso irrazionali. Mettevano paura Diego Tripepi e Francesco De Marte, i due elementi più vicini alla ‘ndrangheta del gruppo di oltre 30 persone che aveva costituito un’associazione a delinquere nel Saronnese sgominata dai carabinieri del nucleo operativo insieme alla Procura di Busto Arsizio. Pericolosi perchè imprevedibili, probabilmente spesso sotto l’effetto della cocaina, agivano con la prepotenza tipica di chi è sicuro di farla franca. A farne le spese piccoli imprenditori che – a parte in un caso – non hanno mai denunciato le angherie subite, i taglieggiamenti, le richieste di denaro. Anche questo non ha facilitato le indagini degli inquirenti. Il loro passato, d’altra parte, parla per loro. De Marte entra ed esce di galera da almeno 10 anni e, insieme ai fratelli, è considerato organico della ‘ndrangheta; Tripepi ha già rimediato una condanna a 7 anni e 3 mesi per estorsioni negli anni ’80 e per traffico di sostanze stupefacenti. Nel Saronnese e nel Comasco i loro nomi sono preceduti dalla loro fama. L’unico che ha denunciato è il titolare di una società che si occupa di servizi per automezzi pesanti a Gerenzano.

L’UNICA DENUNCIA – Dopo 4 anni di angherie nel 2011 si presenta dai carabinieri di Cislago per denunciare Francesco De Marte il quale da tempo si presentava in ditta pistola alla mano e la puntava alla bocca del titolare pretendendo prestazioni gratuite sui suoi mezzi: «Voi dovete fare quello che dico io». Quando l’ammontare delle prestazioni non pagate arrivò a 6 mila euro il titolare decise di non prestare più il fianco a De Marte ma le conseguenze non tardarono ad arrivare. A maggio del 2011, di fronte ad un preventivo non consegnato a De Marte ecco che torna alla carica con l’arma puntata: «Voi mi state prendendo per il culo, dovete fare quello che vi dico e subito – ma di fronte al diniego del titolare prosegue – vai pure a denunciarmi, io la galera me la faccio ma quando esco sei morto». Anche Diego Tripepi interviene – dopo gli ultimi rifiuti da parte del taglieggiato di sottostare alle volonta del De Marte – con un’altra frase poco tranquillizzante: «A te ti puzza la vita, Gesù ti deve assistere». La vittima, prima di denunciare, cade nello sconforto più nero, teme per i suoi figli e per la moglie ma alla fine denuncia. E’ l’unico in tutta questa vicenda mentre altri si fanno sopraffare e addirittura diventano complici delle azioni criminali del gruppo come nel caso di Giuseppe Carofiglio che prima è vittima e poi collabora, prendendosi anche 8 colpi di pistola nella portiera della sua auto.

LA VIOLENZA SPAVENTA – Ma la violenza la fa da padrona nel clan e lo dimostra un altro episodio che riguarda un’ambulante di Busto Arsizio che ha un camion dei panini. Siamo nel giugno 2012 e il titolare del camioncino ha un debito di 3000 euro nei confronti di Tripepi (o almeno così afferma il Tripepi in un’intercettazione ambientale). Da anni il Tripepi cerca di farsi restituire quei soldi e in un’occasione picchia il debitore mentre la moglie e i figli lo guardano dalla macchina. Lo sanno bene anche i proprietari di un ristorante di Cislago che per anni hanno avuto a che fare, in particolare, con Tripepi. Il malvivente, infatti, teneva in uno stato di paura e terrore tale il proprietario da riuscire a pagare il pizzo, assumerlo fittiziamente con uno stipendio (vero,ndr) di circa 800 euro al mese e fornire a lui e a chiunque lui desiderasse cene complete senza pagare. Il tutto è proseguito per almeno tre anni col silenzio assenso delle vittime e con la possibilità per Tripepi, in quel momento affidato dal carcere ai servizi sociali, di poter continuare nelle sue attività criminali.

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Pubblicato il 12 Marzo 2014
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