Da clienti a usurai, così la ‘ndrangheta avvicinava gli imprenditori
La storia di Andrea che ha avuto a che fare con la "banca della 'ndrangheta" di Desio. Andarono da lui per acquistare dei semirimorchi per i camion ma per l'imprenditore varesotto fu l'inizio di un incubo durato un anno
«Sono entrati in azienda da clienti e ne sono usciti da usurai». E’ questa, in poche parole, l’esperienza vissuta da Andrea (il nome è di fantasia per ovvi motivi di sicurezza, ndr) con gli emissari della cosiddetta “banca della ‘ndrangheta”, arrestati la settimana scorsa in una grossa operazione che ha smantellato un’organizzazione criminale che riciclava soldi attraverso l’usura nei confronti di imprenditori in difficoltà: «Se avessi saputo in anticipo con chi avevo a che fare avrei denunciato immediatamente – racconta con voce preoccupata al telefono – per me erano dei clienti come gli altri, all’inizio, volevano comprare dei semirimorchi». Siamo nel 2009 e Andrea aveva 53 anni; a causa delle difficoltà economiche aveva chiuso da poco una grossa carrozzeria in Valle Olona, ma era pronto a rilanciarsi come imprenditore nel commercio di mezzi pesanti. I suoi clienti erano gli autotrasportatori, di ogni genere; dai grossi marchi ai piccoli padroncini entravano e uscivano dal piazzale dove aveva sede la sua azienda.
Un giorno di quell’anno arrivano in ditta per acquistare dei mezzi, soldi in anticipo e stretta di mano ma Andrea non immaginava ancora che quella stretta di mano sarebbe diventata una stretta al collo della sua società: «Volevano acquistare dei semirimorchi per i loro camion – racconta Andrea – credevo fossero imprenditori come tanti altri, sapevo che lavoravano nella zona di Desio e Seveso e sembravano avere le spalle solide». Ad un certo punto, però, quei semirimorchi non interessavano più: «Per la precisione ne acquistarono solo uno ma mi chiesero indietro i soldi che mi avevano dato in anticipo – racconta ancora – solo che quei soldi io non li avevo subito disponibili e allora cominciarono a chiedermeli con insistenza. Fu allora che cominciai a realizzare che non erano normali imprenditori».
Andrea, però, non navigava in buone acque e questo lo portò anche a chiedere dei soldi a questi personaggi che di liquidità ne avevano molta: «Quando le banche ti chiudono i rubinetti è difficile andare avanti – spiega – un destino comune a molti nella mia categoria». E’ così che Maurizio Morabito e Giovanni Pensabene diventano l’ultima spiaggia e, prima di capire con chi aveva a che fare, Andrea ha chiesto loro anche un prestito: «Lo teniamo sotto scacco – dicono in una intercettazione ambientale e poi, quando capiscono le difficoltà economiche – quello non è affidabile e potrebbe anche denunciarci».
Nell’ordinanza di custodia cautelare si legge delle quotidiane telefonate di Morabito all’imprenditore della Valle Olona e i continui rinvii di quest’ultimo: «guarda che non mi sono dimenticato, ho avuto un problema qui con il lavoro» prova a giustificarsi Andrea ma Pensabene, con tono duro e molto arrabbiato, gli ordina di raggiungerlo immediatamente nel piazzale dei camion: «sempre problemi, tu hai perennemente problemi. Non mi rompere il cazzo, dai … cambia disco … quand’è che vieni?». Quando, dopo alcuni mesi, Pensabene e Morabito riescono ad ottenere tutti i soldi e i relativi interessi (circa il 15%) tirano un sospiro di sollievo: «Meno male che allora non gli abbiamo dato altri soldi, Maurizio, meno male perché altrimenti dovevamo menargli per davvero». Morabito commentava: «Questo ci avrebbe denunciato se lo avessimo menato». Alla fine dei conti l’imprenditore varesotto ha dovuto sborsare circa 50 mila euro per toglierseli di dosso e oggi, a 57 anni, è tornato sul camion insieme a i figli in una nuova società ma con le stesse difficoltà economiche di prima: «Lavoro per lasciare qualcosa a loro – racconta – mi faccio migliaia di km col camion per portare a casa lo stipendio di un operaio».
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