Sperimentazione animale, i ricercatori dell’Insubria: “Non torturiamo animali”
I ragazzi del laboratorio di epigenetica dell'università spiegano il loro punto di vista in merito alla sperimentazione scientifica e in particolare nell'ambito delle ricerche che riguardano la cura della sindrome di Rett
Riceviamo e pubblichiamo la lettera dei ricercatori del laboratorio di epigenetica dell’Università dell’Insubria di Busto Arsizio in merito alla raccolta fondi prima lanciata e poi sospesa dalla Unendo Yamamay che si sarebbe dovuta svolgere prima della partita con Urbino a favore della ricerca per sconfiggere la sindrome di Rett. La motivazione addotta dalla società sportiva era legata alle pressioni crescenti degli animalisti che sono contrari alla sperimentazione sugli animali. Ecco cosa pensano i ricercatori
Siamo i ragazzi del laboratorio di epigenetica dell’Università dell’Insubria. Visto il dibattito apertosi in seguito alle vicende riguardanti la raccolta fondi destinata a Pro-Rett ricerca, che avrebbe dovuto tenersi durante la partita di pallavolo Unendo Yamamay Busto- Robur Tiboni Urbino, abbiamo pensato di dar voce ai nostri pensieri. A noi sta a cuore la questione del rispetto degli animali: molti di noi hanno animali domestici ai quali siamo particolarmente affezionati; non siamo carnefici e non ci piace torturare gli animali. Per questo motivo, ci terremmo a sottolineare alcuni aspetti:
1. Non torturiamo gli animali. Al contrario, gli animali vivono in condizioni invidiabili. Il termine invidiabile non è utilizzato a caso: infatti, i diritti di cui godono topi e ratti da sperimentazione sono decisamente più elevati rispetto a quelli degli stessi animali nelle nostre case o peggio ancora di molti esseri umani. Vengono tenuti in gabbiette idonee, adagiati su una lettiera che viene cambiata tutti i giorni. Acqua e cibo sono sempre in esubero. Vivono a una temperatura controllata di 21°C (le rilevazioni della temperatura vengono eseguite tutti i giorni compreso il fine settimana). Godono di assistenza sanitaria, infatti vengono periodicamente controllati da un veterinario.
2. Non pratichiamo la vivisezione. Il sito della LAV riporta: “non tutti gli esperimenti prevedono la dissezione dal vivo, ma tutti sono cruenti e invasivi nei confronti degli animali. Per questo e per ragioni giuridiche, il termine vivisezione si usa come sinonimo più efficace del generico "sperimentazione animale". La vivisezione è una pratica illegale da svariati decenni, mentre la sperimentazione animale che pratichiamo nei nostri laboratori non lo è: per poterla praticare, abbiamo richiesto e ottenuto l’approvazione ministeriale, che viene concessa solo se vengono rispettati dei parametri tassativi imposti dalla normativa vigente. È chiaro che il termine vivisezione e le immagini di animali sofferenti siano più efficaci per smuovere l’opinione pubblica, ma ciò non deve trascendere l’uso corretto e obiettivo delle informazioni. Noi, volutamente, non utilizziamo immagini di bambine/i sofferenti, afflitti da terribili crisi epilettiche intrattabili farmacologicamente, per “sensibilizzare” l’opinione pubblica e non mostriamo la loro sofferenza e quella dei loro genitori, ma ci limitiamo a trattenerla nella nostra coscienza e nelle nostre mani, nella speranza che queste ultime, con il nostro lavoro, possano davvero essere utili.
3. Non guadagniamo dalla sperimentazione animale. Questo punto, per quanto riguarda la nostra piccola realtà, è totalmente privo di fondamento e addirittura offensivo. Chi ha mosso quest’accusa verso di noi dovrebbe anche spiegare in quale modo la sperimentazione animale all’interno di un Ente pubblico come l’Università possa costituire una fonte di guadagno.
4. L’importanza dell’Università. Senza la ricerca universitaria, spesso ritenuta “di base” e scollegata da quella farmaceutica, non ci sarebbero innovazioni e applicazioni. Per quanto l’utilizzo dell’animale possa essere considerato un sacrificio inutile, ci sentiamo di dire senza alcun timore che non lo è. Ad oggi non esiste alternativa, perchè per quanto la ricerca stia facendo passi da gigante, non è possibile mimare la complessità di un sistema vivente in toto. Ribadiamo che questa è l’ultima fase della nostra ricerca di base, che per la stragrande maggioranza degli esperimenti si avvale di modelli non animali. Per la sindrome di Rett la sperimentazione animale non serve nemmeno a testare una cura, ma a cercare di comprendere il perché ci si ammala: se non si conoscono le cause di questa malattia, è impossibile pensare a una cura.
5. La delusione di non sentirsi appoggiati. La ricerca non deve suscitare indignazione ma speranza. A conclusione di quanto detto sino a qui, ci sentiamo di chiedere a Busto, ai suoi cittadini e alla sua amministrazione comunale, di essere fieri di dare ospitalità alla ricerca universitaria. Lo stesso invito lo rivolgiamo a tutte le istituzioni, al ministro dell’Università e della ricerca Stefania Giannini, al ministro della Sanità Beatrice Lorenzin e al premier Matteo Renzi. A loro chiediamo di difendere la ricerca universitaria, di tutelare la salute dei cittadini e la dignità di chi, in questo paese, ancora decide di fare ricerca.
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