Con la Riforma Gelmini, non c’è più posto per “storia dell’arte”

Il completamento della Riforma ha ridotto le scuole dove si insegna la materia. Due le cattedre perse in provincia e i 24 precari perdono ogni speranza. Il paradosso di un paese poco attento alle sue ricchezze

La macchina delle assunzioni è pronta. La scuola sta per ricominciare il suo anno con le prime indispensabili operazioni: le assunzioni del personale docente e non.

Quello che inizierà a settembre, sarà il primo anno in cui la Riforma Gelmini potrà dirsi completata: gli ultimi studenti del “prima riforma” sono usciti a giugno e ora, tutti i percorsi sono completi nel segno delle novità. Le innovazioni riguardano sia la definizione dei percorsi formativi, sia la suddivisione oraria delle materie. 

Il nuovo regime porta con sé alcuni cambiamenti importanti, come quello che riguarda l’insegnamento della storia dell’arte.

Da settembre, quindi, questa materia verrà insegnata solo nei licei artistici, per 5 anni, nei classici, linguistici , psicopedagogici e musicali/coreutici anche se solo nel triennio, oppure negli istituti tecnici a indirizzo turistico o in alcuni indirizzi dell’alberghiero. Una contrazione che ha provocato l’azzeramento di due cattedre, due insegnanti che perdono il posto. A catena, i 24 docenti precari in attesa di insegnare dai lontani concorsi del 1990 e del 1999 rischiano di non trovare alcuna occasione di lavoro per il prossimo anno scolastico: « Al massimo, i primi due o tre in graduatoria possono sperare in spezzoni» afferma Anna, insegnante precaria da 15 anni.

In questa situazione sono gli insegnanti della classe di concorso A61, chiamati a insegnare unicamente la storia dell’arte, in un paese che ha miliardi di ricchezze spesso sottovalutate: « I nostri ragazzi stanno perdendo il gusto del bello, l’attenzione all’estetica. In una società che può visitare i Musei Vaticani o la Cappella Sistina con un semplice tablet, veder crescere giovani generazioni senza educazione, ritengo sia un grave errore. Non stiamo parlando solo di oggetti, palazzi, musei o opere d’arte. Stiamo parlando della nostra storia, delle radici culturali, del pensiero di un popolo che ha costruito e creato con gusto. Guardiamo il centro di Busto, le ville Liberty costruite all’inizio del secolo scorso dai rappresentanti della borghesia: si tratta di un patrimonio che ci racconta il pensiero, le tendenze, gli stili di vita dei nostri avi. Eppure, quanti ragazzi riescono a cogliere queste bellezze a confronto con le linee moderne dei palazzi moderni?»

Storia dell’arte è una materia al centro di un dibattito giunto anche nei palazzi del potere, il Ministro Giannini preme per reintrodurne l’insegnamento in modo allargato ma tale esigenza sbatte contro la necessità di ritrovare fondi adeguati: « Capisco la gravità del momento economico ma credo che si debba fare una riflessione seria su quanto accadrà domani, quando scuole e università non riusciranno più a formare personale adeguato a ricoprire ruoli nelle Sovrintendenze o nei musei. Questa è una materia che ha una rigorosa base scientifica, con un linguaggio proprio e metodi precisi, non è possibile improvvisare con percorsi minimi».

Anna è consapevole che la situazione odierna è frutto di un percorso culturale che ha spesso fatto riferimento alla storia dell’arte in modo superficiale e denigrante: « Ci sono fior fiore di film degli anni passati dove le docenti di questa materia erano dipinte sempre in modo frivolo. Così, nell’immaginario collettivo, l’arte viene vissuta come un di più, un vezzo per pochi. Una visione che mi lascia perplessa: a me appare un limite quello di guardare un monumento e non essere in grado di riconoscere uno stile, un periodo. L’Italia è talmente ricca di Arte e Cultura che non si può girare con il paravento agli occhi. Persino questa provincia, poco conosciuta, ha beni dal valore inestimabile, siti archeologici unici, testimonianze di culture e tendenze secolari. Spiace vedere che i nostri ragazzi crescano senza veder instillata neppure la curiosità…».

Anna non parteciperà neppure alla chiamata di inizio settembre per gli spezzoni di cattedra: « Non ci sono speranze che ci vado a fare?». 

Non c’è speranza, dunque. Così vuole il paradosso di un paese ricco di arte ma poco interessato a conoscerla. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Agosto 2014
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