“L’economia torna a crescere ma il cambiamento deve continuare”

Tra meno di una settimana ci sarà il cambio alla presidenza dell'Unione degli industriali della provincia di Varese. Giovanni Brugnoli fa un bilancio del suo mandato

giovanni brugnoli

Quando nel maggio del 2011 Giovanni Brugnoli è stato eletto presidente dell’Unione degli industriali della provincia di Varese, eravamo nel pieno della crisi economica mondiale. Un periodo così buio che non si riuscivano nemmeno a immaginare nuove metafore per definirlo: le luci erano tutte concentrate in fondo al tunnel – non si capiva bene se in entrata o in uscita – e tutti annaspavano nel buio dei numeri, rigorosamente con il segno meno davanti. La parola fiducia era diventata la vera risorsa scarsa del Paese e in banca la stretta del credito aveva rottamato la più tradizionale e famigliare stretta di mano.

Tra meno di una settimana, durante l’assemblea annuale degli industriali che si terrà il 3 giugno prossimo a Malpensafiere, questo giovane imprenditore tessile di Castellanza, dopo quattro anni passerà il testimone dell’Unione a Riccardo Comerio e lo farà alla luce del sole, fuori dal tunnel e con un segno più davanti alla voce Pil.

Presidente, nel suo mandato lei si è trovato a gestire due momenti di cambiamento importanti: da una parte, la crisi economica che ha determinato un nuovo ordine mondiale e, dall’altra, la rivoluzione digitale che chiedeva alle imprese e all’Unione uno scarto culturale rispetto al passato. Come avete gestito due transizioni così importanti?
«Non è stato semplice. Sono stati anni congiunturali molto complessi perché non era solo il territorio a non trovare la bussola per orientarsi in questo nuovo ordine, ma c’era un intero Paese che non sapeva dove andare. In Univa abbiamo dato un’impostazione dinamica a questi problemi, investendo tanto in innovazione, conoscenza e ricerca. È stata una vera fortuna avere al nostro fianco l’università Liuc che è un luogo di sperimentazione di nuove tecnologie e nuovi saperi a cui gli imprenditori hanno potuto attingere conoscenze e anche energie nuove in un momento dove i pensieri erano concentrati su altri problemi primi fra tutti la mancanza di lavoro e la difficoltà di accesso al credito. Il ruolo dell’Unione è stato importante perché cambiamenti così profondi un imprenditore non può affrontarli da solo e nemmeno sperare di trovare le risposte in quanto dipendono da variabili che non sono governabili dal singolo».

Cosa chiedevano le imprese a Univa?
«Uno sforzo in più, non solo la condivisione del momento, ma essere un supporto concreto per tutti gli associati su più piani: dal credito alla finanza, dall’internazionalizzazione all’innovazione, dall’energia al passaggio al digitale, in modo che le imprese potessero quantificare anche i benefici di essere associate a Univa. In questo quadro non bisogna dimenticare l’importanza di aver mantenuto un dialogo sempre aperto con i sindacati perché bisognava anche salvaguardare le risorse umane portatrici di conoscenze e competenze vitali per le aziende».

Che cosa prova vedendo quel segno più davanti al Pil?
«Per quattro anni ho visto solo il segno meno, tanto che ogni giorno mi chiedevo se stessimo sbagliando qualcosa. Se penso che negli ultimi sette anni abbiamo perso il 25% della produzione industriale, quel segno più è solo l’inizio di un cammino che deve durare almeno due lustri per riportare il Pil a livelli accettabili. Ora che gli animi si sono un po’ risollevati non dobbiamo stancarci di chiedere cambi strutturali al Paese e che gli imprenditori vengano ascoltati senza bollare le loro richieste come di parte».

 Il rapporto con la politica in questi anni di crisi è cambiato molto?
«Gli imprenditori sono esseri viventi che mutano quotidianamente i loro comportamenti con prontezza e velocità, quindi se vogliamo stare sul mercato noi abbiamo costantemente uno shock da condividere. Ecco perché affermiamo che abbiamo bisogno di tempi certi e ragionevoli: è il mercato che detta i nostri tempi. Gli stimoli sono così forti che se un imprenditore non li seguisse morirebbe con la sua impresa. Mi chiedo qual è la ragione per cui questa regola non debba valere anche per la politica e la pubblica amministrazione, forse dovrebbero essere i cittadini a dettar loro i tempi giusti».

Quanto è importante per la ripresa il tema della mobilità sociale?
«In questi anni di crisi economica chi ha pagato di più è stata la classe media e la forbice delle disuguaglianze sociali si è allargata ulteriormente. La domanda interna si è depressa perché chi aveva un minimo di capacità di spesa è stato penalizzato. Non c’è una ricetta confindustriale a questo problema. Forse guardare al modello anglosassone per il mercato del lavoro sia in ingresso che in uscita ci farebbe bene. La verità è che ogni ciclo economico è diverso dal precedente e le risposte che il mercato ti chiede sono sempre differenti. Ecco perché è importante che la politica decida in tempi ragionevoli».

Passare a un sistema digitale vuol dire saltare la mediazione. Il vecchio e il nuovo mondo per un certo periodo convivono, ma in prospettiva dove si va?
«In questa fase tutti devono ridisegnare il loro modo di operare. Essendo l’Unione degli industriali prodroma all’impresa deve cercare di dare sempre risposte e servizi innovativi. Noi l’abbiamo fatto, ad esempio, con le missioni internazionali, accompagnando i nostri imprenditori in altri paesi per fare nuovi insediamenti produttivi mantenendo e rafforzando il cuore qui sul territorio. Bisogna mettere tutto a fattor comune, ci vuole un cambio di passo che è ben rappresentato dall’esperienza dei cluster. Pensiamo all’aerospaziale o all’energia, ad ogni impresa viene chiesto di fare il suo pezzo per generare il risultato complessivo. Con la sindrome del cento per cento la torta rimane sempre piccola, forse è meglio rinunciare a un pezzettino. Questa è la via da seguire perché a furia di fare gli egoisti si rimane in pochi».

Questo è un territorio marginale, per collocazione fisica. Ma è anche un territorio dove le imprese hanno sempre avuto una buona marginalità. Quanto i due aspetti sono collegati?
«Quando parlo della nostra provincia uso l’espressione “Noi siamo quelli in alto a sinistra”. Se dopo quasi un secolo di storia industriale le nostre imprese stanno sul mercato con marginalità interessanti, vuol dire che qui c’è l’humus adatto per fare impresa. E parlo di tutta la provincia da nord a sud. Nel Luinese, ad esempio ci sono imprese straordinarie, vere eccellenze nel mondo, penso alla Imf di Gabriele Galante, tanto per citarne una. Le nostre imprese si sono specializzate avendo come confini il mondo intero. E quando diciamo che il territorio ha una vocazione al manifatturiero dobbiamo aggiungere che ha anche una visione internazionale».

L’ha visitato il sito di Expo?
«Certo, è bellissimo ed è anche la dimostrazione che in Italia le cose ben fatte riusciamo ancora a farle».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 28 Maggio 2015
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