Via Francigena, dodicesima tappa: da Siena a Ponte d’Arbia
Il racconto della dodicesima tappa della Via Francigena del direttore di VareseNews Marco Giovannelli
Era già in piedi prima delle cinque per preparare la colazione a noi quindici pellegrini e subito dopo partire per Bologna.
Mi sono alzato prestissimo anche io per scambiare due parole con suor Ginetta. Ieri sera ero rientrato presto per non disturbarla, ma lei intorno alle 23 era passata dal corridoio e vedendomi intento a scrivere si era fermata per chiedermi: “Sono arrivati tutti? Allora posso andare a dormire. Buonanotte”. Lei è qui all’accoglienza Santa Luisa da diciotto anni. Aveva preso i voti solo sette anni prima. “Prima ho fatto la signorina”, mi dice sorridendo.
Il centro verso Porta Romana non accoglie solo i pellegrini. C’è una mensa per i poveri dove ricevono almeno un pasto oltre quaranta persone. Si presta aiuto anche alle ragazze in difficoltà e c’è un servizio docce e fornitura di materiali vari. Suor Ginetta è aiutata ma sono in pochi a svolgere tutta l’attività. Lei non si perde d’animo e dispensa sorrisi a tutti.
La sistemazione per la notte senese è stata la più affollata, ma era in conto. Dormiamo in sei in una piccola stanza e con il caldo che fa non è il massimo. In più c’è aria di festa e noi siamo proprio all’inizio di una contrada e lungo le strade sono imbanditi tavoli per la cena. In ogni caso è andato tutto bene e per colazione abbiamo trovato anche le brioche fresche.
La partenza stamattina è stata alle sei precise. Sono passato di fronte all’ingresso del vecchio ospedale psichiatrico dove ora, come a Varese, ci sono uffici e servizi dell’Asl. La struttura di Siena fu una di quelle che fece scalpore per le condizioni in cui vivevano molte persone che erano ricoverate ormai da decenni. Soprusi di ogni genere e totale assenza di dignità per centinaia di soggetti ormai abbrutiti da una vita sempre dentro l’istituzione totale. Il sociologo Goffman, un largo movimento d’opinione e il forte impegno di Franco Basaglia portarono nel 1980 a chiudere definitivamente con quella pratica barbara. Ci sarebbero voluti anni, per quelle transizioni tipiche italiane dove tutto si lascia correre come bastasse il tempo a cambiare lo stato delle cose. Ma ormai la legge aveva fissato criteri e soprattutto scoperchiato un mondo che si voleva tenere ben lontano dai riflettori.
Superato l’ex ospedale ho percorso l’ultimo tratto di via Roma e poi passato dall’imponente porta Romana. Lascio così Siena senza nemmeno esser riuscito a dare uno sguardo al duomo. In ogni caso non c’era tempo per far il turista e poi ho avuto il privilegio di fare una full immersion nel Palio. Per Siena questo è la vita. Affonda le radici nella storia della città con dai suoi albori. Da fuori ogni polemica, soprattutto quella in difesa dei cavalli, suona in modo particolare perché si stenta a capire davvero cosa rappresenti per ogni cittadino il Palio. Ieri ho ascoltato per oltre due ore i cori dei piccoli, come chiamano i ragazzini sulle tribune sotto il palazzo. Loro cantano a squarcia gola contro le contrade rivali e tutta la piazza è un giubilo.
Lasciamo anche il Palio, ma stamattina per le prime due ore sono restato li con il pensiero. Il tempo necessario per arrivare in un ufficio postale e spedire a Viterbo alcune cose in eccesso. Sopratutto le scarpe, visto che ieri sera, in un fuori onda imprevisto, sono stato assistito da Leonardo che mi ha venduto un paio di scarpe buone anche per volare. Speriamo bene anche se il problema ora si è fatto serio da ieri perché ho due vesciche brutte sotto la pianta dei piedi.
Spedito il pacco sono uscito dai centri abitati e per cinque ore mi sono immerso nella Val d’Arbia. Una esperienza fantastica. Camminavo con Marco, il catalano, e lui si fermava estasiato di fronte a tanta bellezza. “Esta en todos los lados”. Ovunque ti giri c’è da perdersi. Sembra di star dentro un quadro. Il caldo torrido senza nemmeno un albero ci ha presto però riportato alla dura realtà del cammino. E oggi le due ore finali sono state di nuovo belle impegnative. La polvere ti entra dappertutto anche se il bello è avere più un fondo stradale che sembra un tappeto con questa terra morbida.
La tappa termina in un piccolo paesino sulla Cassia. Ponte d’Arbia è un punto di riferimento perché c’è un ostello molto grande e bello. È di proprietà del Centro Cresti, una realtà molto attiva e che accoglie e fornisce servizi ai pellegrini. È tutto libero e gratuito. In gergo si dice donativo, ovvero ognuno liberamente dà ciò che vuole senza alcun tipo di controllo. Sta alla nostra sensibilità, ma anche alla propria possibilità economica contribuire. Stanotte siamo nuovamente in diversi. Oltre a me, Richard e Marc che abbiamo già incontrato ci sono due ragazzi italiani, un inglese, un americano e una coppia appena arrivata di cui non conosco per ora la nazionalità. Domani si entra in Val d’Orcia con una tappa medio lunga fino a San Quirico. Ventotto chilometri e mille metri di dislivello.
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