“Insalada e ciapp’ “ della nostra tradizione pasquale
La ricetta pasquale suggerita da Pierre Ley, autore dell'ebook di ricette che porta lo stesso nome di questa rubrica

Nuova ricetta suggerita in questa nuova rubrica da Pierre Ley, anche autore dell’ebook di ricette che porta lo stesso nome di questa rubrica. Ed ecco la curiosa ricetta per Pasqua:
Come spesso accade nella cultura contadina, non è sorprendente veder mischiato sacro e profano in accostamenti a volte arditi e all’apparenza irriverenti. E’ sicuramente il caso dell’insalada e ciapp’ della tradizione pasquale delle nostre Prealpi, in cui il termine “ciapp” si riferisce effettivamente al lato B di rubiconde e giovani contadinotte altresì definite, con uguale e leggera delicatezza, “lacc’ e bùter”, ovvero “latte e burro”, per il sano aspetto bianco e rosso delle loro guanciotte.
Tornando ai nostri “ciapp”, trattasi evidentemente di uova sode, tagliate a metà e lascivamente adagiate su un letto di fresca insalata con la parte bombata rivolta all’insù, figurando così nell’immaginario dei nostri trisnonni la parte anatomica in questione. Ecco allora spiegato l’accostamento apparentemente sacrilego con la Pasqua, poiché l’uovo è da sempre simbolo del mistero della vita e della rinascita, così come la fresca insalata che in questo periodo ritorna alla vita. In fin dei conti ha tutto molto senso, come la ruvida saggezza di questa civiltà scomparsa che nasconde dietro all’ironia, quasi a proteggerla, la propria delicata e sopraffina sensibilità.
La nostra insalada e ciapp’ è anche alla base di un equivoco linguistico ormai di uso comune. L’espressione “va a dar via i ciapp” oggi dialettale ed eufemistica versione di uno scurrile invito a riprovevoli pratiche, trae la sua origine proprio dalla tradizione dei “ciapp” consumati a Pasqua. Era infatti il ruolo preciso della padrona di casa, la “regiura”, e qui ancora la simbologia della “madre donatrice di vita” è molto forte, distribuire le uova ai commensali sistemandole sull’insalata. Da qui l’espressione “dar via i ciapp”, e sempre da qui il richiamo all’ordine del signore e padrone quando la donna usciva dal suo ruolo e s’impicciava di affari riservati agli uomini: “Dòna, va a dà via i ciapp”, equivalente di “donna, stai al tuo posto”.
Ristabilito l’onore, dal punto di vista lessico-sociologico, dei “ciapp” e di chi le da via, veniamo infine all’aspetto ambientale della questione, cioè come minimizzare il nostro impatto sull’ambiente attraverso piccoli gesti quotidiani e domestici. In questo caso è facile: evitando di conservare le uova in frigorifero, così come un sacco di altre cose che per comodità o per abitudine preferiamo refrigerare. E’ sorprendente la quantità di energia sprecata per raffreddare cose che si conservano benissimo a temperatura ambiente o perlomeno “fresca”. Certo il nostro frigo rimane lo stesso, ma l’incessante aprire e chiudere e il sovraccarico costante lo rendono meno efficace. Per le uova basti osservare che nei supermercati vengono conservate sugli scaffali normali. Inoltre dal punto di vista gastronomico il tuorlo freddo ha tendenza a rompersi facilmente, oltre a non cuocersi bene. Dal punto di vista igienico-sanitario è addirittura possibile una maggiore proliferazione batterica per la relativa elevata umidità e la vicinanza di altri cibi, data la porosità del guscio. Il portauovo nei frigoriferi di tutte le marche? Le abitudini sono dure a morire, ed il cliente, in fondo, ha sempre ragione.
Per chi volesse cimentarsi in cucina, si ricordi che per la perfetta riuscita del piatto, occorrerà cuocere le uova “barzotte”, cioè in modo che il tuorlo risulti ancora cremoso (7 minuti), cosicché si possa amalgamare al condimento dell’insalata a base di olio extravergine, aceto di vino rosso, sale, pepe e per i più temerari qualche filetto d’acciuga. Buona Pasqua!
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