Mahmoud il timido: “In moschea era muto”

Parlano i musulmani che lo conoscono. Ma dopo il caso Khachia, spaventa la seduzione dell'estremismo tra i giovani islamici

La festa per la fine del Ramadan

Chi e che cosa ha trasformato Mahmoud Jrad, il 23enne di Varese, in un aspirante martire della Jihad? “Nella moschea di Varese certe idee non passano – osserva Giorgio Stabilini, uno dei portavoce della comunità musulmana della città – Mahmoud lo conosco, è un ragazzo timido, molto introverso. Frequenta la moschea regolarmente, ma non parla con nessuno. Forse con qualche giovane, in alcune occasioni, ha scambiato due parole, ma è davvero poco socievole. Prega, il venerdì, poi va a casa. Ma Varese non è sempre la sua base di preghiera. Frequenta anche altre moschee”.

(foto, festa per la fine del ramadan)

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Chi ha conosciuto questo giovane siriano rimane ora molto colpito dai suoi propositi di aderire a un gruppo terroristico: “Si certo é molto religioso – osserva un altro frequentatore della moschea che vuole rimanere anonimo – ma quello che mi ha colpito è che Mahmoud è timidissimo, fragile, sembra quasi una donna per quanto è dolce e indifeso. Il suo comportamento mi è incomprensibile”.
Eppure nelle intercettazioni contenute nel decreto di fermo il padre racconta chiaramente che il figlio, in moschea, ha trattato male alcuni saggi (gli sceicchi) probabilmente perché morde il freno, vuole un islam più duro e aggressivo. “Può darsi – osserva Stabilini – questi sono ragazzi davvero troppo giovani e non hanno la statura per difendersi dalle idee estremiste che circolano in Internet. Non è un caso – continua Stabilini – che la radicalizzazione avvenga proprio su internet o in certi gruppi via social network, dove gira di tutto. In moschea, a Varese, non c’è storia per loro. Abbiamo poche idee, ma molto ferme”.

Stabilini spiega anche quanto si legge nelle carte giudiziarie, circa un incontro con l’imam Amine: “In realtà si tratta dell’imam della moschea di Saronno, che è uno yemenita, e non di quello di Varese, che invece è un egiziano. Si sono rivolti ad Amine perché tra i musulmani è considerato una figura carismatica, uno bravo, che sa come parlare con i giovani. Consiglia al padre di non far incontrare il ragazzo con quelli che uccidono la gente”

Mahmoud il timido, viene descritto così anche da alcuni abitanti del quartiere, che lo conoscono da diversi anni. Il mistero di questi ragazzi musulmani cresciuti in Italia, come di quelli cresciuti in Francia, è che nel giro pochi mesi divengono improvvisamente devoti al terrorismo senza che abbiano compiuto percorsi ideologici lunghi e articolati, ma con poche cliccate su internet. La moschea, secondo Stabilini, è invece un antidoto a queste semplificazioni violente, perché mette i giovani di fronte all’opinione dei saggi, dei vecchi, di chi non vuole casini, insomma, e non apprezza versioni mitizzate di un islam violento e barbaro che potrebbe tradursi in un maggiore odio verso i musulmani d’Italia.

In un articolo su Repubblica il sociologo Ilvo Diamanti scrive che in Francia l’Islam radicale ha attecchito anche fra i giovani musulmani delle classi medie e cita il sociologo Olivier Roy il quale parla di una generazione alla ricerca di un’identità che la società e per prima la famiglia non sono state in grado di fornire loro. “Così, il richiamo all’Islam, alla religione della tradizione, diventa una mappa per ritrovare la strada – scrive Diamanti – solo che non si tratta dell’Islam “coltivato” dai genitori. Integrato e moderato. Ma dell’Islam mitico, delle origini. L’Islam radicale, predicato da imam “estremisti”. Offre loro motivo e riferimenti per realizzarsi. “Contro” i genitori. Il terrorismo francese, secondo Roy, più che una guerra di civiltà diventa, così, una rivolta generazionale”.

Se vogliamo prendere per buona questa teoria Mahmoud Jrad, secondo la digos,  fa proprio questo: va contro il padre (che lo picchia in una occasione), va contro i saggi della moschea, non parla con nessuno, chatta su facebook, e scrive su whatssapp la sua rivolta generazionale che sfocia nel terrorismo. Il padre lo percuote perché non vuole che vada a morire in Siria, e lui non dice nulla, prepara i documenti e spera di partire per la Jihad.

Anche il caso di Oussama Khachia, il trentenne di Brunello morto in Iraq (leggi), è quello di un giovane, di professione saldatore a Castronno, a cui non basta un buon lavoro in fabbrica. Vuole un’identità politica più definita, è ansioso di uscire dalla condizione di proletario magrebino. Si inventa freelance su internet e comincia parlare bene del Califfato, fa propaganda, descrive con toni aulici un luogo che non ha mai visto (leggi). Si inventa radicale, pur senza essere di indole violenta, viene espulso e alla fine lo diventa per davvero un foreign fighters.

Il fratellino minore Abderrahmane Khachia viene arrestato (leggi qui) per terrorismo a Varese perché dopo la sua morte si infila in un gruppo di foreign fighters, ma per gli investigatori della digos è sostanzialmente un debole che perde la bussola dopo la morte del fratello, ma proprio per questo forse ancora più manipolabile e pericoloso. Ma la domanda è: quanti altri ragazzi musulmani affascinati dall’estremismo ci sono vicino a noi?

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 04 Agosto 2016
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