Troppi cinghiali? Ecco la ricetta dei cacciatori

La proposta dell’Atc1: anticipare la caccia di selezione così da prevenire i danni causati dal sovrannumero di questi voraci ungulati. Un problema per colture e sicurezza stradale

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Sta per entrare nel vivo la stagione della semina, con gli agricoltori pronti a mettere a coltivo i campi arati e concimati.

Ma c’è un’incognita che già si profila all’orizzonte: i tanti cinghiali delle valli, ma anche delle pianure e di tutti quei luoghi dove fino a pochi decenni fa, di setole e grugniti non c’era neppure l’ombra.

Un Sos che arriva dal mondo dell’agricoltura e che i cacciatori dell’Atc1 (cioè uno degli ambiti territoriali in cui è diviso il territorio provinciale) raccolgono con una proposta che ad oggi è sul tavolo delle autorità competenti – la Regione – che devono decidere sul da farsi.

L’idea è quella di anticipare, e di molto, le uscite per la caccia di selezione, che avviene in maniera “mirata” sulla base di particolari tipologie di animali da abbattere a seconda del peso, dell’età o del sesso del cinghiale e di porre come obbiettivo primario il raggiungimento di un piano di prelievo stabilito. Tutto per evitare il sovrannumero in tutte quelle zone dove vi sono le maggiori concentrazioni di danni alle colture, ma è anche un pericolo per la sicurezza stradale: di incidenti l’anno passato se ne sono contati 260 ( dato che comprende tutte le specie di ungulati e forme di fauna selvatica ) divisi un po’ in tutta la provincia, ma sopratutto nelle zone in cui gli animali si spostano per cercare il cibo.

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I CAMPI SEMINATI – L’Ambito territoriale caccia 1 è composto da sei settori destinati alla caccia collettiva al cinghiale, ciascuna delle quali ha un responsabile capocaccia, e al primo piano della sede nell’edificio di fianco al municipio di Valganna, sono tutti seduti ad un tavolo per esporre una soluzione che potrebbe rappresentare un punto importante della gestione del territorio. Chi pensa ai cacciatori come “doppiette dal grilletto facile” deve ricredersi ascoltando i compiti di questo ente, composto di un comitato di gestione dove siedono anche ambientalisti, oltre ai cacciatori, ed un tecnico faunistico qualificato veterinario per gestire al meglio la varie forme di caccia. Qui si decidono le azioni sul territorio, vedi il ripristino ambientale (è la sistemazione dei boschi che permette ai selvatici di rimanere nelle loro aree e di non “sconfinare” in quelle fortemente abitate) e gli altri interventi.
Proprio come quelli di supporto agli agricoltori.

«Il punto è che quest’anno le regole sono cambiate – spiega Tiziano Miglierina, presidente dell’Atc1 – . Fino all’anno scorso eravamo noi cacciatori a posare protezioni elettrificate nei perimetri dei campi seminati. Un lavoro impegnativo e importante. Ne abbiamo messi, solo nel 2016, circa 80 mila metri (quindi 40 mila metri di perimetro, dal momento che le delimitazioni dei campi avvengono con due “fettucce” nda). Lavoro fatto dai cacciatori a titolo di volontariato e a beneficio delle colture. Il risultato di queste opere di prevenzione nell’ultimo triennio ha portato ad un calo della spesa di rimborso danni . Da quest’anno, però, spetta agli agricoltori la posa di questi “dissuasori”: l’animale arriva, e se trova l’elettricità sui pali si spaventa e non torna».

In pratica fino all’anno scorso questa attività prevedeva un rimborso  ai cacciatori componenti le varie squadre di caccia collettiva, che nel loro budget di spesa inserivano il costo della posa, mantenimento, rimozione dei recinti elettrificati e un capitolo di spesa per l’acquisto del materiale necessario alla realizzazione delle opere. Da quest’ano invece il rimborso spetterà agli agricoltori e sarà successivo alla posa delle elettrificazioni.

«Sarebbe a nostro avviso corretto continuare il dialogo e il confronto con gli agricoltori e tutti i soggetti interessati per affrontare insieme questo problema», spiega Miglierina, che interviene dopo la nota inviata da Coldiretti verso la fine di aprile in cui  già venivano lamentati i primi problemi legati all’attività devastatrice dei cinghiali

«La preoccupazione dei cacciatori è che la gestione dei recinti fatta direttamente dagli agricoltori (i quali sembra non siano molto contenti della nuova norma regionale) possa portare ad un incremento dei danni in quanto la mole di lavoro da dedicare a questa attività è talmente importante da non poter essere gestita dagli agricoltori stessi già subissati dalle tante incombenze», continua il presidente.

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GLI INCIDENTI – I sinistri stradali sono un problema riguardante non solo il “mondo della natura” – vedi agricoltori e cacciatori – , ma anche tutti noi, utenti delle strade. E non solo nel nord “forestale” della provincia: i daini nell’Arnetta a Gallarate, il cinghiale a Dairago, i selvatici immortalati mentre percorrono addirittura l’autostrada dei Laghi ne sono un esempio pressoché quotidiano. Che fare allora? I cacciatori posano i dissuasori catarifrangenti nei tratti di strada interessati dal passaggio, e sistemano i boschi in modo da creare e preservare gli habitat. In alcuni casi sono stati previsti interventi sulle strade con dissuasori fissi luminosi e acustici: soluzione costosa, sperimentale e che non può essere adattata ad ogni tratto di strada provinciale.

LA CACCIA DI SELEZIONE – Ecco allora che i cacciatori, come anticipato, hanno la loro proposta che riguarda soprattutto il cinghiale. Perché fatto “100” il valore degli animali in sovrannumero da abbattere (decisi dalle autorità sulla base di appostamenti e valutazioni in loco) si riesce a raggiungere quasi la totalità degli abbattimenti con “cervidi” e “bovidi” (cervi, caprioli, mufloni), mentre coi cinghiali la percentuale è quasi dimezzata, si riesce a prelevarne poco più della metà. Per questo sono in sovrannumero e quanto meno andrebbero controllati nelle aree dove i danni sono maggiori.

«La caccia di selezione avviene già di per sé in momenti difficili per trovare l’animale, perché è consentita da un’ora prima l’alba a un’ora dopo il tramonto, per animali la cui attività è prevalentemente notturna» – spiega il veterinario Luca Visconti.

Va peraltro ricordato che la caccia di selezione non è l’ unica forma di prelievo sul cinghiale ma vi è la forma di caccia in braccata attuata dalle sei squadre in cui è diviso il territorio dell’ ATC 1 e che comporta abbattimenti nell’ordine di 500 capi annui ma che purtroppo avviene lontana dal periodo dei raccolti e nonostante sia fondamentale per tenere sotto controllo la popolazione dei suidi è poco efficace nel momento dell’emergenza e deve essere affiancata da una buona forma di caccia di selezione.

Quindi la proposta dei cacciatori dell’Atc1 (un’area vastissima che va da Varese a Luino e da Laveno Mombello a tutta la Valceresio) è quella di anticipare di molto il periodo in cui poter cacciare i cinghiali, e portarlo dagli attuali primi di agosto ai primi di maggio, se non alla metà di aprile in modo da poter supportare gli agricoltori con abbattimenti mirati degli animali che attratti dalle coltivazioni scendono nei fondovalle durante il periodo delle colture, che sta incominciando.

E tra il fitto della boscaglia c’è già chi muove il naso per fiutare l’aria, quanto basta per farsi venire l’acquolina in bocca. 

Nella foto sopra, oltre al presidente Tiziano Miglierina, tutti i capicaccia dell’Atc1: Rino Sala (Sette Termini), Giuseppe Cantamessa (Valceresio), Stefano Migliazzo (Campo dei Fiori), Valentino Longhi (Valcuvia), Andrea Sangalli (Cuvignone), Gianpiero Cipolla (Valtravaglia)

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Maggio 2017
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