La testimone: “Binda aveva paura e fece sparire qualcosa”

Parla Patrizia Bianchi, l'ex amica dell'imputato che ha inziato a sospettare di lui dopo 20 anni

Patrizia Bianchi, deposizione in Tribunale per il caso Lidia Macchi

Stefano Binda era spaventato dalle indagini su Lidia Macchi. È la suggestione che emerge dalle parole della testimone Patrizia Bianchi, sua ex amica, interrogata in corte d’assise durante il processo di Varese.

“Quando il corpo di Lidia venne ritrovato – ha raccontato in aula durante il processo –  gli dissi che non trovavano l’arma del delitto. Lui mi chiese subito, e violentemente, che cosa sapevo. Ma in realtà, avevo sbagliato a parlare. Però lui insistette, mi disse di dirgli che cosa avevo detto dell’arma, anche in maniera incalzante e con un tono cattivo che non gli avevo mai sentito prima di allora. Dentro di me pensai: ma cosa ti importa, sarai mica stato tu? Fu la prima volta, dall’inizio della nostra amicizia, che lo sentii così. Parlava con una insistenza, da una parte violenta, dall’altra parte continuativa. Io però volevo dire solamente che, in quel momento, non si sapeva ancora com’era stata uccisa”.

Patrizia Bianchi è la testimone che ha indicato alla polizia la pista che ha portato all’arresto di Stefano Binda, 49 anni, disoccupato, ex studente di Cielle. Ha riconosciuto la sua scrittura nella lettera anonima inviata ai gentiroi di Lidia poco dopo il delitto e oggi ha affermato che il simbolo sotto la missiva era quello usato negli esercizi spirituali di Cielle.

Bianchi sulla lettera ha aggiunto un nuovo particolare: “Pochi giorni dopo la notizia della morte di Lidia, Stefano mi venne a prendere in auto a casa. Una volta giunti a Varese mi chiese se sapessi dove abitava Lidia, pechè aveva indosso una lettera che aveva scritto per i genitori e la voleva consegnare, e mi disse “ce l’ho qua” toccandosi il petto. Io risposi che sapevo dov’era la casa, ma in realtà mi vergognavo a dire che non lo sapevo. Ero molto timida all’epoca. Detto questo, scese nei pressi di un parco, a Masnago, e andò a gettare un sacchetto del pane marrone da qualche parte. Quando tornò non lo aveva più”. 

La testimone ha anche riferito di una conversazione con Binda, nel periodo successivo al delitto, in cui l’imputato le chiese se poteva fidarsi di don Fabio Baroncini, l’assistente spirituale di Cielle a Varese, perchè gli doveva confessare una cosa pesante. Nel gennaio del 1987 Stefano disse anche una frase suggestiva a Patrizia: “Tu non sai che cosa sono stato capace di fare”. Tutti elementi che la Bianchi, oggi, a ritroso, considera probabilmente tali da alimentare il suo sospetto verso l’ex amico. 

Patrizia Bianchi, deposizione in Tribunale per il caso Lidia Macchi

L’esame della testimone si è protratto fino alle 19. Il controesame degli avvocati della difesa Sergio Martelli e Patrizia Esposito è stato accurato. La Bianchi ha difeso con coerenza la sua versione dei fatti, molto nitidi a dispetto dei 30 anni passati da allora ma che secondo la difesa ha fatto emergere solo opinioni della Bianchi e non cirostanze precise. Il Giudice Orazio Muscato, infine, ha disposto che venga ascoltato in aula un amico di Patrizia Bianchi che, secondo la testimone, le avrebbe riferito di un tentativo di depistaggio circa il vero autore della lettera anomina inviata ai genitori di Binda. Un altro dei misteri della vicenda.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 07 Luglio 2017
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Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da dvd73

    Spero che finalmente si arrivi a fare giustizia dopo tanti anni. E che il CLpevole non esca più di galera.

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