“Stefano Binda si drogava fin dai 17 anni”

La storia delle fragilità dell'imputato raccontata dagli educatori delle comunità terapeutiche, ma nessun accenno al delitto

Le immagini del processo Lidia Macchi

Aveva gravi problemi psichiatrici, fin dalla tenera età, Stefano Binda, l’imputato accusato di aver ucciso con 39 coltellate Lidia Macchi. Lo hanno detto oggi in aula gli educatori delle comunità in cui è stato ricoverato tra il 1993 e il 1995 per disintossicarsi. Non sarà chiamato in aula il nunzio apostolico in Burkina Faso Piergiorgio Bertoldi, accusa e difesa hanno rinunciato a sentirlo, evitando così problemi con la diplomazia vaticana. E’ il risultato dell’udienza di oggi.

Binda, 49 anni, ha un passato difficile ma ovviamente questo non prova il suo coinvolgimento nel delitto. Tuttavia la sua è la storia di un ragazzo con un lato anche oscuro, dettato dal consumo di droga, iniziato, secondo quanto ricostruito da un educatore, fin dall’età di 17 anni, quando Binda disse di essere entrato in un bar poiché sapeva di poter comprare stupefacenti. Egli raccontò di aver deciso, consapevolmente, di diventare un assuntore di sostanze. Walter Sabattoli, fondatore della comunità terapeutica Pinocchio di Rodengo Saiano (Brescia) lo ha confermato in aula. Tra il 1993 e il 1995 Binda visse in quella comunità, inserita nel mondo del Cl, su interessamento di un sacerdote milanese del movimento.

Il suo vizio fu scoperto a causa del furto di una valigetta, in università, in cui deteneva dello stupefacente. Dentro il movimento fu uno scandalo e pare che si diffuse l’idea che fosse meglio non farlo sapere in giro. Binda si comportò bene nella comunità, con gli altri utenti, ma aveva diversi problemi e fu ricoverato per tre volte all’ospedale. Gli educatori di allora, Sabatoli, ma anche Luigi Galluzzi, un “memores domine” di Cl, che lavora come educatore in quella comunità, si accorsero che aveva molti problemi. In particolare di bulimia e anoressia, tanto che uno dei ricoveri fu dovuto al fatto che non mangiava più. Secondo Galluzzi Binda era benvoluto, ma soffriva di problemi psichiatrici seri. Aveva degli attacchi di panico molto pesanti e in quei momenti non riusciva a stare in piedi. Inoltre aveva una identità sessuale controversa, non risolta.

Galluzzi, in verità, non ha molto chiarito questo aspetto, giustificando la sua valutazione con il fatto che l’imputato “non faceva sport”; ma è stato Sabattoli a rivelare che Binda, in realtà, aveva dei conflitti con la figura del padre.

In quegli anni studiò e si laureò, mentre si trovava in comunità. Nel 1995 terminò il suo percorso terapeutico, più o meno troncato (non si è capito bene) e non volle più stare a Rodengo. In aula sono stati interrogati due ex tossici che Binda frequentava a Besozzo e dintorni, ma non hanno aggiunto molto alla storia; se non che una sera, Stefano, rifiutò di andare nella zona dove era stata uccisa Lidia per consumare eroina. Peraltro Binda iniziò a drogarsi, nel 1984, di nascosto da tutti e sniffando l’eroina. Solo successivamente fece uso di siringhe. Agli educatori della comunità disse: “Se non avessero rubato la valigetta non avrei mai chiesto aiuto a nessuno”.

E dunque la domanda è: che cosa c’entra tutto questo con Lidia Macchi? Binda e Lidia si frequentavano? La madre di Lidia ha riferito che la figlia non l’ha mai portato in casa, e che non era lei ad avere amici tossicodipendenti bensì la cugina. In aula si è parlato anche della presunta omosessualità di Stefano Binda ma se l’assassino è un uomo che violentò la vittima, questa circostanza potrebbe persino essere a discarico di Binda. Ad ogni buon conto la pm Gemma Gualdi l’ha accennato in aula, e ha chiesto ai testimoni informazioni a riguardo. I testi hanno risposto che Binda non aveva mai contatti con donne. Un altro accenno della pm è arrivato quando ha riferito in aula che non chiamerà a testimoniare Piergiorgio Bertoldi, oggi nunzio apostolico in Burkina Faso. Verranno acquisite le sue dichiarazioni su quella sera del 5 gennaio 1987 in cui affermò di essere stato a casa propria, a Brebbia, con la sorella e il padre, a guardare un film alla tv insieme a Giuseppe Sotgiu. Che Binda, Sotgiu e Bertoldi all’epoca fossero inseparabili è acclarato, ma che cosa c’entri con l’omicidio non è ancora chiaro.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 14 Luglio 2017
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