“Mia moglie mi ha donato un rene. Ora aiutiamo gli altri a decidere”

L’operazione che ti cambia la vita e l’impegno a rendersi disponibili per chi deve affrontare una scelta difficile. La storia di una coppia che è tornata a vivere

Boberto e Mimì Braschi

Una vita di lavoro, e qualche passione, ma una sera torni a casa, capisci che qualcosa non va, e dopo le analisi salta fuori che hai un rene solo dalla nascita. E quello che ti rimane è messo male. Il medico non ha dubbi: “Occorre il trapianto”.

E allora lì, nel momento in cui tutte le certezze si sgretolano arriva in soccorso tua moglie, e assieme a lei diventi testimone di qualcosa che può riguardare chiunque.

«Donare un rene è una pratica che non espone a rischi particolari chi dona, ma allunga la vita, e di molto, a chi ne beneficia».
Roberto Braschi è un uomo che lì per lì non spende molte parole. Preferisce parlare con lo sguardo alla persona che ha di fronte, proprio come fa seduto nel salotto in una giornata di grande sole, nella sua abitazione al piano rialzato di una palazzina a Cuveglio, in una tranquilla zona residenziale.

Dall’altro capo del tavolo la moglie, Maria Luisa “Mimì”, che lo guarda e sorride, convinta di aver fatto la scelta giusta. Poi si apre. E racconta.

Proprio come qualche settimana quando salì sul palco a Varese per una serata in sala Montanari. Un incontro organizzato dall’Associazione amici del Reparto di Nefrologia dell’Ospedale di Varese Onlus nella quale lui e la moglie hanno parlato della loro storia. Una testimonianza di vita raccontata proprio per sensibilizzare la platea sull’importanza della donazione del rene e soprattutto per la prevenzione.

Boberto e Mimì Braschi

«La mia vita lavorativa l’ho passata in giro per l’Italia tra alberghi e ristoranti: facevo il commerciale per un’azienda di materiali edili e almeno tre sere la settimana le passavo fuori casa – racconta Roberto . Poco sport, fatta eccezione per le bocce, mia grande passione. Poi un giorno, sarà stato settembre 2015, mi accorsi di non stare bene, avevo problemi di vista. Andai dal dottore per le analisi: creatinina alta. Allora “ECO” all’addome, e il risultato: “Ma lei ha un rene solo, non lo sapeva?”».

Una doccia fredda, anche perché Roberto Braschi era uno di quegli uomini che lasciava correre: «L’ultimo esame del sangue l’avevo fatto 13 anni prima».

Partono gli approfondimenti e la visita dal nefrologo: «Signor Braschi, il suo unico rene non funziona, la mettiamo in lista per il trapianto ».

Altra botta. Ma affianco a lui, Roberto ha la moglie, che subito si mette a disposizione per il trapianto.
«In cuor mio speravo vi fossero incompatibilità, non volevo che Mimì restasse con un rene solo. Poi ci siamo informati, abbiamo chiesto. E ci hanno spiegato che vivere con un rene solo si può, e le possibilità di ammalarsi sono molto remote. Così abbiamo cominciato l’iter per il trapianto».

Nel frattempo parte la dialisi: auto, flebo e ore attaccati alla macchina, per poi fare ritorno a casa. Cuveglio-Varese, Varese-Cuveglio.
«Una vita completamente cambiata, pesante, con ritmi sballati e dettati dai tempi delle terapie», racconta Maria Luisa, fino al grande giorno.
Dopo 25 esami e un’attesa di gran lunga inferiore rispetto ai tempi per un trapianto da rene di persona non vivente, ecco l’operazione, il 30 settembre 2016.

Il trapianto con l’organo della moglie ha allungato l’aspettativa di vita di Roberto e gli ha aperto un mondo fatto di speranza, ma soprattutto di scienza: ad un anno dalla sala operatoria le sue abitudini sono cambiate solo per dover bere più acqua: «Due litri al giorno, e male non mi fa».

Ma soprattutto è cambiata la mentalità di quest’uomo; ora vuole dedicare tempo per aiutare altre persone col suo stesso problema e che magari non riescono ad affrontare lo scoglio psicologico per gestire questa scelta. Lo scorso 27 ottobre, praticamente ad un anno dall’operazione, Roberto e Mimì Braschi hanno preso la parola di fronte alla platea che li ha applauditi dopo aver ascoltato la testimonianza.

Boberto e Mimì Braschi

«Già, ci hanno applauditi, ma il vero ringraziamento va all’équipe medica che ha effettuato il trapianto. È ai medici e agli infermieri che vanno gli applausi».
Cos’ha insegnato questa storia ai coniugi Braschi? «Ho promesso a me stesso di non essere più egoista, nel senso che pensare alla propria salute è importante per non dover poi creare problemi alla propria famiglia», dice Roberto.

In futuro racconterete ancora la vostra storia? «Siamo a disposizione di chi vuole sapere». Questa volta è il sorriso di Mimì a parlare.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 22 Novembre 2017
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