Univa: “Il Piano industria 4.0 funziona, non toccatelo”
L’aumento degli acquisti di nuovi macchinari ed apparecchiature, l’intenzione nel 68% delle imprese di puntare su nuove iniziative di formazione, la richiesta alla politica di non toccare il Piano Nazionale e di rilanciare l’Istruzione Tecnica Superiore: ecco come la digitalizzazione delle fabbriche sta cambiando il volto del sistema produttivo
C’è chi, come la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti, punta a finanziare progetti in grado di stringere legami tra mondo delle imprese e quello dei centri di ricerca universitari, mettendo sul piatto risorse che vanno dai 450 milioni di euro di Berlino, ai 4,5 miliardi di Washington. Chi, invece, come l’Italia punta alla leva degli sgravi fiscali alle imprese, con un impegno pubblico di oltre 20 miliardi per i prossimi quattro anni. Quale sia la formula adottata, in tutto il mondo avanzato, e non solo, l’obiettivo è, comunque, sempre lo stesso: incentivare l’avanzata dell’industria 4.0 e della digitalizzazione del sistema manifatturiero.
Quello italiano prende il nome di Piano Nazionale Industria 4.0, partito a gennaio 2017. Con un avvio che è stato positivo. A dirlo sono i numeri elaborati da Kpmg, insieme a Confindustria. Proiezioni che hanno messo in luce come gli investimenti fissi lordi delle imprese del Bel Paese siano aumentati del 9% nel primo semestre del 2017 rispetto ai livelli dello stesso periodo del 2016. I dati sono emersi durante il primo incontro del nuovo ciclo di appuntamenti “Le Frontiere dell’Innovazione” riproposto dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese per approfondire i temi della trasformazione digitale. Proprio quel traghettamento verso l’industria 4.0 che il cosiddetto Piano Calenda, dal nome del Ministro dello Sviluppo Economico che lo ha ideato e promosso, sta riuscendo a quanto pare ad ottenere. Le stesse elaborazioni del Mise su dati Istat-Confindustria mettono in evidenza come gli investimenti fissi lordi in macchinari ed apparecchi siano in aumento dell’11,6%, mentre quelli in apparecchiature elettriche ed elettroniche del 10,7%. Le imprese che si stanno avvalendo del Piano Nazionale Industria 4.0 registrano una crescita media delle spese in ricerca e sviluppo tra il 10 e il 15%. «Gli interventi di riforma – commenta Alessandro Trojan, partner di Kpmg – si sono inseriti in un contesto economico in espansione, ed è dunque presto per analizzare i nessi di causa/effetto, rimane il fatto però che da quando il Piano Industria 4.0 è partito l’occupazione industriale italiana è aumentata dello 0,3%, contro il -0,3% medio registrato in Germania, Francia e Gran Bretagna”. Non solo, fatto 100 la produzione industriale a gennaio 2016, “in Italia si è arrivati a luglio 2017 a quota 103, contro il 102 di Stati Uniti o Giappone».
Meno prudente nell’analisi di questi dati è il presidente dell’Unione Industriali varesina, Riccardo Comerio: «Il Piano funziona e proprio per questo non va toccato, anzi deve essere reso strutturale. Si tratta di una di quelle riforme che, come imprenditori, ci auguriamo non siano sacrificate sull’altare della campagna elettorale alle porte». D’altronde altri numeri parlano chiaro: le imprese del settore industriale, senza gli incentivi introdotti dal Governo, non avrebbero investito (5,6% del campione analizzato da Kpmg e Confindustria) o avrebbero investito in misura minore (47,9%). Gli imprenditori, insomma, ci credono. Il 73,2% prevede che l’impatto nei prossimi 3 anni del Piano Industria 4.0 sarà medio/alto. Con punte dell’84,6% nelle aziende con più di 250 addetti, che scendono al 56,5% in quelle tra 1 e 10 addetti. Un efficientamento produttivo è atteso nel 62,4% dei casi, l’incremento del valore aggiunto prodotto nel 48,4%, nel 38% ci si attende un miglioramento delle relazioni con i clienti e nel 16,4% con i fornitori.
«La conoscenza del Piano Industria 4.0 è diffusa tra le imprese italiane e un ruolo positivo lo stanno assumendo proprio le associazioni datoriali», afferma Trojan. Con quali risultati in termini di utilizzo dei vari incentivi fiscali? Nel 43,8% si tratta di accessi all’iperammortamento, nel 51,4% al superammortamento, nel 29,2% di sfruttamento del credito d’imposta.
«Ma il Piano non è costituito solo da incentivi fiscali», avvisa il partner di Kpmg: «Tanto è vero che il 68% delle imprese attuerà iniziative specifiche di formazione professionale per la sua implementazione».
Ed è qui che sta la vera chiave di volta. Trojan non ha dubbi: «Il Piano Calenda sta aiutando le imprese, le tecnologie sono a disposizione, ma il successo dell’implementazione dell’industria 4.0 si gioca sulla capacità di dar vita a nuovi modelli organizzativi e di distribuzione. E questo è compito degli imprenditori. Non basta investire nei macchinari. Occorre investire sulle risorse umane». Comerio va oltre e indica anche dove mettere le risorse: «Dobbiamo puntare sugli Its, sugli Istituti Tecnici Superiori. Sono una formula vincente. Il 98% dei ragazzi che esce da questi percorsi post-diploma trova un impiego nel giro di due settimane. Il gap competitivo con i nostri competitor stranieri sta, però, nei numeri: sono 9.500 gli iscritti agli Its italiani, in Germania sono più di 600mila». Da qui la critica alle istituzioni: «Non è concepibile che nell’ultima Legge di Stabilità si sia deciso di investire sugli Its solo poche decine di milioni di euro».
La parola d’ordine delle imprese è puntare sulle persone: «Il vero fattore abilitante dell’industria 4.0 non è la tecnologia, tra l’altro facilmente reperibile, ma il fattore umano, figure con i giusti skill», dichiara il Coordinatore delle Aree Economiche dell’Unione Industriali, Marco De Battista, nel lanciare il nuovo ciclo di appuntamenti de “Le Frontiere dell’Innovazione”. Seminari che avranno come focus le strutture organizzative, con un approccio empirico basato sull’analisi di casi concreti, nel contesto produttivo del nostro territorio. Data-driven business (un’opportunità di business per le imprese e non solo un asset da proteggere), intelligence workplace (come cambiano i processi all’interno dell’impresa intelligente), people care & people strategy (le persone come cardine attorno al quale costruire una strategia digitale): questi i temi che verranno trattati nei prossimi incontri.
Appuntamenti che avranno come base di confronto le condizioni del contesto digitale del territorio varesino, nel quale le imprese operano. Non ultime quelle legate alla connettività: elemento fondamentale per l’industria 4.0. La provincia, nella classifica nazionale, in questa voce arriva terza in Italia per copertura di banda larga. Ciò anche grazie alla presenza sul territorio di operatori come Eolo spa: «Portare l’accesso a internet ad alta velocità fuori dai grandi centri urbani – spiega il ceo Luca Spada – è da sempre la nostra maggiore sfida. Il Governo sta spingendo sull’acceleratore con il Piano Industria 4.0 che aiuterà le imprese ad essere sempre più competitive, innescando un circolo virtuoso di produttività, investimenti e capacità di rispondere meglio ai mercati. È una necessità imprescindibile, e un bisogno sentito non solo dalle aziende, ma anche dalle famiglie: con più di 10 mila nuovi clienti al mese, avviciniamo famiglie, imprese, artigiani al mondo». C’è, però, un problema in Italia che Spada definisce il digital divide dei piccoli centri urbani, quelli dove ha spesso sede la spina dorsale della manifattura made in Italy composta dalle pmi: «Lo speed divide rischia di compromettere la capacità competitiva del Paese, soprattutto se consideriamo che la stragrande maggioranza delle imprese ha sedi e stabilimenti in comuni con meno di 20mila abitanti. Pensando a loro abbiamo messo a punto la tecnologia 100 Mega che ci permetterà di aiutare aziende e interi distretti ad essere più competitivi. È una rivoluzione che parte da Varese ma che arriverà in tutte le regioni in cui operiamo». In pratica la promessa che Spada fa è quella di «permettere alle imprese della Valcuvia o della Valganna di poter contare su una velocità di connessione uguale a quella delle imprese alle porte di Milano».
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