Rapine in Ticino, fioccano le prime condanne
Tre imputati di fronte al Gup per associazione a delinquere: padre, figlio e un complice componenti della banda che terrorizzò il confine tra marzo e luglio 2017
La squadra Mobile di Varese ci aveva visto bene con l’operazione “linea di Confine” che portò in carcere la scorsa primavera cinque persone con l’accusa di aver assaltato in diverse occasioni alcuni distributori di benzina in Canton Ticino fra il marzo e il luglio del 2017 perché oggi, per quei fatti, sono fioccate le prime condanne.
Il giudice dell’udienza preliminare di Varese Anna Giorgetti ha condannato difatti con rito abbreviato tre componenti della banda in aula per “associazione a delinquere finalizzata alla rapina” dopo aver ascoltato le richieste del pubblico ministero Massimo Politi e le conclusioni delle difese pronunciate nella tarda mattinata di oggi, giovedì.
Si tratta di L.F. e N.F.L, padre e figlio, varesini, condannati a 5 anni e 8 mesi di reclusione più una multa di 4 mila euro, difesi dagli avvocati Corrado Viazzo e Matteo Pelli. Il terzo imputato I.E., difeso dall’avvocato Ermanno Talamone dovrà scontare 5 anni e 6 mesi poiché ritenuto colpevole dello stesso reato, ma in continuazione con altri fatti: si tratta di un rapinatore con una lunga fedina penale e alle spalle un numero considerevole di rapine a mano armata, già giudicato in passato anche dal tribunale di Busto Arsizio.
Un processo che tuttavia riguarda solo alcuni dei componenti della banda che presero parte agli assalti portati con volto travisato ai distributori di Ligornetto (Eni e Piccadilly) per poi fare rientro in Italia, anche a piedi, al valico di Clivio che dista poche decine di metri.
In parallelo a quello svoltosi oggi con rito alternativo, vi è difatti un secondo filone procedurale con rito ordinario e giunto alla fase dibattimentale che vede imputato come associato a questi reati (e non come esecutore materiale) un quarto componente del gruppo, – L.G. – una sorta di “basista” che si occupava della pianificazione dei colpi. Ruolo per un lavoro che andava dal reclutamento della mano d’opera criminale («Dicci a Peppe che domani si fa», si leggeva qualche giorno fa fra i messaggi whatsapp contenuti nei telefoni sequestrati dalla polizia) fino al procacciare le auto per sopralluoghi e azioni che avvenivano tutte a cavallo fra Italia e Svizzera: questo, almeno, ciò che sostiene la Procura.
In alcuni episodi vi furono anche scenette al limite del grottesco come il caso del motorino che non partiva al momento giusto, obbligando i “manovali del crimine” a riparare a piedi, e di corsa, in Italia lasciando in Ticino motoretta e casco.
Un quinto soggetto finito anch’egli in manette nel giugno scorso e ritenuto componente della banda è nel frattempo deceduto.
Il sesto arrestato dalla squadra Mobile risultava invece fino a poco tempo fa ancora in carcere in Svizzera.
Tuttora sono al vaglio le posizioni di altri soggetti marginali, e per questo a piede libero, che avrebbero avuto un compito secondario e fuori dall’associazione, per il supporto ai colpi.
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