Istigazione a delinquere, a Varese il processo a Gianluigi Paragone
Il senatore Cinquestelle a giudizio per un video in cui chiedeva ai detenuti di fare giustizia dopo l’aggressione a un disabile che portò in carcere un 27enne. Il difensore: «Vittima di insurrezione emotiva»

La questione di fondo è la seguente: a fronte di una presunta ingiustizia (che per esempio porta ad un arresto), è corretto esprimersi pubblicamente con toni anche forti augurandosi che qualcuno intervenga fuori dalle aule di tribunale?
E se ad auspicare questo epilogo di una vicenda (solo a posteriori condannata da un giudice) sono due giornalisti famosi in un video che poi finisce in rete?
Domande a cui forse si avrà risposta il prossimo aprile quando il giudice monocratico di Varese si esprimerà su un processo che vede imputati Gianluigi Paragone, noto giornalista varesino e ora senatore dei Cinquestelle e il collega di Radio 105 Gilberto Penza per “istigazione a delinquere”.
Persona offesa è un ventinovenne di Sassari condannato per lesioni e diffamazione nei riguardi di un 37enne con problemi psichici aggredito a San Teodoro – Olbia Tempio – al termine di una festa, nel luglio 2016.
Il ragazzo, che ai tempi dei fatti aveva 27 anni, venne arrestato dai carabinieri e sottoposto a due mesi di custodia cautelare in carcere eseguita in isolamento, secondo il suo legale, l’avvocato Bastianino Ventura, «per i pericoli rappresentati dagli altri carcerati aizzati da un clima d’odio mediatico».
Da quanto afferma il legale il giovane passò un mese all’interno del carcere di massima sicurezza Badu ‘e Carros, e un mese, sempre in isolamento a “Uta”, la casa circondariale Ettore Scalas di Cagliari.
Fu una vicenda che arrivò alla ribalta nazionale, soprattutto per il video che vede l’aggressore, con un braccio al collo, colpire la vittima affetta da disturbi mentali, il 10 luglio.
I giornali locali si occuparono del caso dopo l’arresto del giovane. Tutto venne ripreso e arrivò su Facebook. Intervenne persino l’allora ministro Maria Elena Boschi.
Ed è qui che entra in gioco il video di Gianluigi Paragone e Gilberto Penza (nella foto) che risulta pubblicato su youtube il 18 luglio 2016 nel quale i due si esprimono pur senza fare nomi a fatti facilmente riconducibili all’episodio finito nelle cronache. Episodio per il quale i due giornalisti auspicavano che fossero i detenuti delle carceri sarde a fare giustizia: «Questa è gente di m…, non si può parlare di bullismo, devono finire in carcere e stare sette anni. E quando sono dentro in carcere devono fare la mamma di qualcuno, per chi capisce il gergo».
Seguono altre parole, ancora più pesanti.
Espressioni che secondo la parte offesa del processo per istigazione che si celebra a Varese avrebbero influito a generare un clima di forte intimidazione all’interno delle strutture carcerarie, nonostante l’isolamento.
«Aggressioni per fortuna non ne ho subite, ma mi sono sentito più volte in pericolo per quello che gli altri detenuti mi dicevano», ha raccontato il ragazzo presente oggi in aula, fermandosi a parlare coi cronisti. Intimidazioni e offese che non avrebbero risparmiato neppure neppure i famigliari, durante il periodo di carcerazione.
Neppure il suo profilo Facebook sarebbe passato indenne dalle offese: «Per questo ci sono circa 150 querele per diffamazione in tutta Italia, nei riguardi di chi ha offeso su Facebook», aggiunge il legale.
Eugenio Piccolo, il difensore del senatore Gianluigi Paragone, getta acqua sul fuoco: «Ma quale istigazione, si tratta di un commento, magari anche con toni forti, come Paragone ci ha abituati col suo piglio da polemista, e inserito in un contesto di profonda indignazione».
L’avvocato parla di una «insurrezione emotiva» per i fatti che in quei giorni stavano sulle prime pagine dei giornali. Secondo la difesa, poi, sarà nel corso della prossima udienza, prevista per il 18 aprile, che verranno chiariti importanti aspetti temporali relativi al momento della realizzazione del video dei due giornalisti.
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