Il quinto cerchio
di Olga Riva Rovaglio
La condanna pronunciata dal giudice riecheggia nella mente di Luca, un anno di libertà vigilata, “sta fia de ‘na mignotta, c’ha chiamato pure ‘e guardie”. Con un gesto d’impulso rovescia il tavolo, ancora apparecchiato.
Si accende una sigaretta, dalla finestra osserva il panorama di palazzoni grigi, senza vederli. Luca, un corpo scolpito dalle ore trascorse alla palestra di pugilato, gli occhi svegli di chi si è sempre guardato le spalle da solo.
L’appartamento è disseminato delle sue cose, Valeria ha lasciato da lui la tazza preferita, il beauty-case, la lingerie di pizzo nera. Pensa al suo profumo, a come lo avvolge ogni volta che l’attira a sé con forza, al modo in cui lei sussulta di piacere, ma poi irritato per la sua debolezza getta tutto giù in strada, senza curarsi dei passanti, quindici piani più sotto.
Quella maledetta sera, c’era il solito poker a casa sua, e un full gli sorrideva tra le dita. Stava per dichiarare all in quando il Cicala si presentò strafatto e gli urlò “cornuto!” davanti a tutti. Lui, furente, lo spintonò finché non confessò “Vale c’ha ‘na tresca con un fusto de Tor Pignattara”. Luca accecato dalla rabbia, sparì in camera da letto e tornò con una calibro 22. Gli amici allarmati, intuendo le sue intenzioni, cercarono di dissuaderlo, lui li respinse con decisione, e si catapultò fuori.
Con lo scooter a manetta raggiunse il condominio indicato dal Cicala, si infilò nel portone socchiuso, corse sulle scale a grandi passi, e si arrestò solo una volta raggiunto il quinto piano. Al suono del campanello, una luce filtrò da sotto la porta e delle ombre si avvicinarono. Un tipo robusto, a torso nudo, gli apparve sulla soglia, Luca estrasse l’arma e gliela puntò, a pochi centimetri dal naso ricurvo. “‘ndo ‘sta Valeria?”. Era in fondo al corridoio, i capelli castani sulle spalle nude, indossava una sottoveste color notte, la sua preferita. Luca premette il grilletto, click.
La pistola era scarica, di proposito, altrimenti non avrebbe esitato a ucciderli entrambi. Rimase per un attimo davanti a lei, poi si allontanò.
Luca contempla il tizzone della sigaretta spegnersi a poco a poco, raccoglie una penna e un pezzo di carta da terra e scrive, le rime gli scivolano fuori a fiotti, come l’odio che gli pulsa nelle vene.
Qualche anno più tardi, la platea del club del hip hop più popolare del quartiere lo acclama non appena appare sul palco, le strofe infiammano il pubblico, sono l’unica arma con cui esibisce, fiero, la sua storia.
Racconto di Olga Riva Rovaglio, foto di Daniel Lobo dal sito www.flickr.com
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