Varese è generosa ma ha bisogno di progetti chiari per rispondere ai bisogni dei suoi cittadini
La pandemia ha fatto crescere il numero di nuovi poveri. Il nostro territorio si è sempre dimostrato sensibile. Elisa Bortoluzzi Dubach, una tra le massime esperte di filantropia, spiega come avviare "una relazione generosa"
“Ne usciremo migliori”. Ma come? Quest’anno così difficile sta mettendo a dura prova sia il sistema economico sia quello sociale. C’è bisogno di un “Rinascimento”, la riscoperta di una diversa relazione dove cooperazione e collaborazione mettano in rete energie positive per ripartire insieme. C’è bisogno di attenzione all’altro.
Filantropia e mecenatismo sono due settori chiave per mettere in relazione soggetti diversi che lavorano per un obiettivo condiviso.
Utopia? Ne parliamo con Elisa Bortoluzzi Dubach, tra le massime esperte del mondo filantropico, docente universitaria ha appena pubblicato un libro dal titolo “La relazione generosa”.
Qual è il rapporto di Varese con la filantropia e il mecenatismo?
È di fondo un buon rapporto. Varese ha una lunga tradizione nel mecenatismo e nella filantropia, basti pensare alle splendide collezioni d’arte conservate sul nostro territorio e nel resto della Lombardia, composte da opere importanti, autentiche pietre miliari per l’evoluzione della comunità, sia come rappresentatività storica e sociale dei personaggi, sia come espressione delle istituzioni che le hanno create.
Molte volte nei dialoghi con amici varesini, ho sentito dire che questa radicata cultura dell’impegno verso la città sarebbe sparita. Eppure, la recente esperienza della pandemia ha dimostrato che i varesini sono generosi, hanno cuore, cervello e disponibilità economica. Si tratta solo di trasformare questa generosità in una cultura della filantropia, consolidando le pratiche e fare in modo che l’obbiettivo non sia la mera movimentazione di denaro, ma la creazione di un clima di cooperazione professionale e umana fra mecenati e soggetti culturali. Perché ogni filantropo è prima di tutto un essere umano e ha bisogno di appassionarsi a un progetto, di partecipare alla sua realizzazione e di condividere a cuore aperto le proprie idee e competenze. Applicando questo principio alla città di Varese, le istituzioni pubbliche hanno l’opportunità di contribuire in modo significativo a creare la fiducia necessaria e a stimolare il senso di appartenenza dei cittadini alla loro amata città. E i media possono fare la loro parte favorendo la nascita di un dibattito, ampio, variegato e stimolante. Mentre le istituzioni culturali e sociali possono attivare quella significativa rivoluzione di cuore e di pensiero, che li trasforma da richiedenti a offerenti.
Che cosa significa “relazione generosa”: chi deve essere generoso?
La relazione generosa vede il mecenatismo e la filantropia come uno scambio tra un soggetto richiedente – un artista o un professionista del settore non profit – e un individuo tendenzialmente facoltoso che elargisce mezzi finanziari, competenze o reti per la realizzazione di un progetto di pubblica utilità. Questo gesto è generoso per entrambi, ma anche per un’ulteriore terza parte, la comunità. I recenti studi sul cervello ci dicono che l’atto di donare stimola uno stato di benessere psicofisico in chi lo esercita, ma allo stesso tempo produce cambiamento, e spesso un impatto sociale positivo nel medio e lungo termine a favore della società. La solidarietà è un principio etico formale che compare nelle nostre carte costituzionali, certo, ma credo che oggi possa divenire un impegno tangibile, un valore sincero che ci appartiene come esseri umani che convivono in una società dove ogni singola persona deve essere tutelata. Il dono crea speranza e spazio di azione. Di tutto ciò oggi abbiamo bisogno più che mai.
In questo momento storico così difficile, lei da dove partirebbe per far sbocciare la generosità?
Sono profondamente d’accordo con Gian Paolo Guicciardini nel suo articolo “Lotta alla povertà, si cambi logica e si aiuti chi già aiuta” (Vita.it 4 gennaio 2021), quando sostiene che oggi è importante cambiare il punto di vista sull’attività filantropica, accogliendo i nuovi e potenti segnali emessi dalle reti di solidarietà sociale, ormai le uniche in grado di portare aiuto dove lo Stato non riesce più ad arrivare. Sono “comunità intermedie”, divenute indispensabili per il bene del loro territorio sociale. Occorre quindi che lo Stato ne prenda atto e consideri un nuovo approccio, che possiamo definire “Aiutare chi aiuta”. Ad esempio, trasferendo a questi autentici pilastri dell’economia sociale generosa, le ingenti risorse pubbliche destinate all’emergenza povertà, che rischiano altrimenti di vanificare i benefici per cui sono state stanziate. In questo modo – cioè attivando “ufficialmente” le risorse del mondo non profit italiano – lo Stato diventa garante di un’azione oculata e capillare, che assicura la miglior gestione della spesa pubblica, in grado cioè di rispondere nel modo più veloce ed efficace alla dolorosa e complessa domanda del disagio sociale.
Per questo, oggi, sento l’urgenza di invitare le strutture della pubblica amministrazione di Varese ad attivarsi al più presto, idealmente subito, con lo studio che ho menzionato. E auspico che sia accompagnato e sostenuto da una chiara visione e da un piano preciso, perché di questo hanno bisogno prima di tutto i cittadini e naturalmente anche i filantropi. Suggerisco dunque di fare un passo avanti rispetto a quanto proposto da Guicciardini e mi auguro di cuore che le istituzioni pubbliche locali sostengano il non profit con denaro, ma anche attivando un ufficio dedicato in grado di:
supportare le associazioni del non profit, con tutto il know-how filantropico necessario
consultare banche dati specifiche, che permettano di avviare i contatti con fondazioni e mecenati in modo semplice, rapido e sistematico, naturalmente in assoluta osservanza delle leggi.
creare un tavolo di lavoro per aiutare il coordinamento delle tante, appassionate e capaci realtà filantropiche, che svolgono attività concrete sul territorio.
evitare la duplicazione di strutture, che confondono i cittadini generosi e rendono complessa la donazione dei potenziali filantropi
contribuire all’efficienza delle spese delle donazioni, evitando ogni spreco e prevenendo qualsiasi ritardo.
So che il Comune di Varese ha tutte le carte in regola per realizzare questo progetto nel modo migliore, sfruttando per es. l’ufficio fundraising interno; e attivando una commissione dedicata, che coinvolga le migliori risorse del territorio (sappiamo che qui vivono personalità di calibro internazionale!). Infine, occorre dare a questa tematica tutta l’attenzione che merita e per tutto il tempo necessario a superare questo momento così delicato, impegnativo e fondamentale, anche per il benessere futuro dell’intera comunità varesina.
Si dice che le restrizioni alla nostra vita abbiano fatto aumentare i risparmi in banca da parte di una fetta della popolazione mentre un’altra fetta ne sta uscendo davvero provata. Che cosa sta accadendo e come possono reagire le istituzioni pubbliche?
Nella sua lucida analisi Guicciardini ci ricorda prima di tutto, i dati nazionali: “Action Aid e Censis ci informano che nel 2020 gli italiani in stato di povertà, cioè coloro che non riescono a garantirsi pasti giornalieri regolari, sono cresciuti a 5 milioni (600mila in più rispetto al 2019). E questi 5 milioni si sommano agli 8,8 milioni già esistenti, per un totale di 14 milioni di poveri. È una situazione tragica sia a livello economico che sociale ed evidenzia ancora una volta le fasce più deboli della popolazione: il 60% della povertà si concentra nel Sud Italia, mentre il 40% fra Nord e Centro. E i più colpiti sono ancora le donne e i bambini!”.
Purtroppo, Varese non fa eccezione: anche qui, a causa del Covid, la povertà è sensibilmente aumentata. Ritengo quindi che siano necessarie azioni a livello nazionale (ovviamente!), ma integrandole con potenti iniziative a livello locale ed è importante farlo subito. A cominciare da un’analisi seria dei bisogni del territorio, che va condotta a stretto contatto con gli stakeholder di riferimento e il mondo non profit locale. L’obbiettivo è documentare con cifre e previsioni di spesa i bisogni reali del territorio. Questa è la base per comunicare in modo serio e propositivo con i cittadini e per avviare il dialogo con le aziende, i professionisti che in questo 2020 così difficile, hanno avuto la capacità e la fortuna di guadagnare. E sono disposti a condividere la loro buona sorte, attraverso le donazioni. Se gli assessorati sono in grado di documentare con chiarezza e precisione i reali bisogni sociali, i “cittadini generosi” si sentono presi sul serio e i mecenati sono molto più pronti a donare.
Cosa significa costruire un circuito virtuoso per alimentare una società solidale?
Dobbiamo cambiare logica e passare da una filantropia che si limita a risolvere problemi immediati (una sorta di concezione tappa buchi), a una nuova visione di ampio respiro, che permetta di affrontare le diverse sfide in una “logica di sistema”. Perché oggi non è più sufficiente replicare la meravigliosa gara di solidarietà scattata nella prima fase della pandemia, per aiutare le strutture sanitarie in difficoltà (in Italia sono stati donati oltre 700 milioni di euro). Ora è necessario fare un passo avanti e rivolgersi al territorio, rendendolo capace di esprimere i suoi bisogni in modo preciso, con tutti gli stakeholder in rete, per entrare in contatto con mecenati e fondazioni che credono nella filantropia strategica. Vale a dire che non donano d’impulso, ma sulla base di obiettivi chiari, una pianificazione creativa, strategie collaudate, un’attenta esecuzione e un accurato follow-up. Solo in questo modo, sono convinti che si possano raggiungere i risultati desiderati. E solo così sono felici di donare.
Applicando la teoria alla pratica, faccio un esempio sulla problematica degli anziani, dove immagino un disegno unitario che preveda soluzioni a livello dei quartieri, un servizio di informazioni centralizzato, con le proposte comunicate in modo chiaro, da una fonte autorevole eccetera. Lasciando ovviamente la cura dei dettagli agli specialisti del settore. In questo modo – cioè con una strategia di ampio respiro – aumentano le probabilità di coinvolgere “filantropi a lungo termine”, disposti a investire nella soluzione profonda del problema. E non solo a correggere ora, una tantum, un sintomo che potrebbe poi ripresentarsi. Magari peggiorato. La buona notizia è che l’opportunità per trasformare questa visione in realtà, oggi è già presente. La prestigiosa Wealth-X, una delle banche dati di filantropi più grande al mondo, ha identificato in Italia circa 45 mila persone che svolgono già un’attività filantropica, oppure che hanno il potenziale per farlo. In particolare, a Varese sono un centinaio. È un’ottima chance per il nostro territorio, da prendere al volo! Per questo, invito calorosamente tutti, cittadini, volontari, filantropi e istituzioni a unirsi in un unico grande progetto comune, per il bene sociale di oggi e di domani.
La relazione generosa. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati
Elisa Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin
FrancoAngeli, 2020
pp. 185, 23 Euro
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