Pnrr, alcune questioni di metodo
Gioacchino Garofoli professore ordinario di Politica economica sottolinea le questioni principali legate alla messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza

Vorrei introdurre due osservazioni e discutere tre questioni di metodo relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) in applicazione del Recovery Program promosso dalla Commissione Europea.
SANITÀ, ISTRUZIONE E RICERCA
Per quanto riguarda le osservazioni, vorrei sottolineare la necessità di intervenire immediatamente con l’aumento dell’occupazione pubblica e nei servizi pubblici che sono i settori maggiormente penalizzati dalle politiche dell’austerità negli anni precedenti la pandemia. La crisi del Covid ha, infatti, mostrato la rilevanza del presidio sulle questioni che riguardano la sanità e la cura dei cittadini, l’istruzione e la ricerca. Inoltre le analisi sugli interventi del Pnrr mettono in evidenza la carenza di competenze professionali nella gestione della programmazione economica e della pianificazione territoriale sia a livello nazionale che regionale. È, dunque, opportuno aumentare l’occupazione in questi settori per rafforzare le competenze per la gestione dei progetti di riqualificazione economica e ambientale che sono alla base del miglioramento del benessere collettivo. Non dimentichiamo che i tassi di occupazione in Italia sono notevolmente inferiori alla media europea (addirittura di quasi 10 punti rispetto ai paesi virtuosi). Il Pnrr rappresenta, dunque, l’occasione per mettere mano a questa caratteristica strutturale negativa del nostro sistema produttivo.
La seconda osservazione riguarda i tempi degli interventi e della spesa. Occorre ricordare che l’obiettivo della rapidità della spesa aumenterebbe il rischio di una elevata centralizzazione del processo decisionale che andrebbe a scapito dell’obiettivo della coesione territoriale e della capacità di mobilitare risorse, attori e progettualità dei territori.
LE QUESTIONI DI METODO
La prima riguardala questione della strategia e dell’organizzazione degli interventi nelle filiere produttive cruciali. Nel documento presentato dal Governo (e approvato dal Parlamento) non sono chiari i meccanismi di interdipendenza tra gli interventi (e gli investimenti) del pubblico con gli investimenti privati. In altri termini, non è chiara la logica di connessione e di stimolo reciproco tra investimenti pubblici e investimenti privati.
PUBBLICO E PRIVATO
La partnership pubblico-privata deve essere inserita in una strategia chiara e condivisa, in cui sia soprattutto la domanda aggiuntiva promossa dall’investimento pubblico a determinare lo stimolo alla crescita di investimenti e occupazione nelle imprese private. Il ritardo della ristrutturazione della filiera sanitaria in Italia sta dimostrando le difficoltà che sto cercando di evidenziare. L’individuazione (e l’eliminazione) di strozzature e di impedimenti allo sviluppo delle filiere rappresenta il punto di partenza obbligatorio.
Inoltre per alcune filiere (sicuramente per la fattibilità dell’utilizzo di energie alternative, per esempio nell’idrogeno ma forse anche per le nuove batterie elettriche) le decisioni fondamentali dovrebbero essere concordate con altri paesi perché è necessario raggiungere masse critiche di investimento in ricerca da raggiungere con consorzi europei (cfr. ad esempio quanto evidenziato nel Pnrr francese).
IL TERRITORIO
La seconda questione riguarda la dimensione territoriale del Pnrr perché la gran parte degli investimenti pubblici (specialmente nella difesa ambientale e del paesaggio, ma anche per la mobilità sostenibile delle aree metropolitane e per la diffusione del digitale e del presidio sanitario territoriale dovrà essere decisa e programmata a livello locale e regionale. Non solo interventi nelle aree metropolitane e nelle aree urbane, ma anche nelle aree interne, nelle aree semiperiferiche e nelle periferie urbane. Occorre, dunque, una conoscenza minuta e dettagliata dei problemi e delle specificità territoriali e, soprattutto, occorre rafforzare la capacità di mobilitazione degli attori e la capacità progettuale sui territori attraverso l’accompagnamento dei livelli di governo sovraordinato che dispongono delle competenze professionali necessarie. Ciò significa organizzare una co-progettazione tra i diversi livelli di governo ed è quanto ancora la Francia dimostra di saper fare e di aver già avviato (cfr. “volet territories”, formazione di zone omogenee a livello spesso subprovinciale, nomina di un esperto responsabile per il coordinamento a livello territoriale, Agenzia di Coesione Territoriale e sistema della Banque des territoires – emanazione di BplFrance, gruppo Caisse des Depôts – che accompagnano e aiutano la progettazione dei progetti di sviluppo dei territori).
GLI STRUMENTI
La terza questione riguarda gli strumenti di intervento e i dispositivi tecnici sui quali non vi è grande tradizione in Italia, ove si tende a privilegiare strumentazioni tradizionali e non sempre coerenti (la gran parte degli inventivi fiscali e finanziari sono spesso inutili perché non modificano strutturalmente i comportamenti delle imprese e sono distribuiti su una massa troppo elevata di operatori e su un meccanismo burocratico e non programmatorio). Occorre definire i veicoli istituzionali (consorzi, Ats, …) in cui gli operatori possono essere partner della strategia nazionale e identificare le relazioni e le modalità del partenariato pubblico-privato (anche definendo, almeno sui progetti cruciali) “chi fa e che cosa”. Nella gran parte dei progetti dovranno collaborare grandi (o medio-grandi) imprese, piccole imprese, organizzazioni non profit, a cominciare da università e centri di ricerca. Ancora una volta l’esperienza francese dei Pôles de compétitivité, in cui queste diverse organizzazioni progettano e gestiscono assieme il loro pacchetto di investimenti sui territori (con un cofinanziamento pubblico nazionale), potrebbe essere utile.
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