Galimberti (Odg): “I giornalisti smettano di fare le prime donne e tornino a cercare la verità”
Il presidente uscente dell'ordine dei giornalisti della Lombardia ha commentato la ricerca presentata dai ricercatori dell'università di Milano sui cambiamenti di una professione in crisi

Perché la gente odia i giornalisti? E quando questa categoria ha cominciato a perdere autorevolezza? Quanto ha pesato la narrazione della pandemia e il modo in cui i giornali hanno affrontato il dibattito sui vaccini?
È cominciata con un’analisi schietta, e a tratti impietosa, della categoria la decima edizione di Glocal, il Festival del Giornalismo digitale.
Al primo appuntamento nella Camera di Commercio a Varese, aperta con un saluto del padrone di casa Fabio Lunghi, s’è parlato del futuro del giornalismo ma nessun discorso astratto come spesso accade quando si tratta un tema così complesso e con diverse implicazioni. Con Alessandro Galimberti, presidente uscente dell’ordine dei giornalisti della Lombardia, s’è analizzato uno studio sulle condizioni attuali e sul futuro del giornalismo condotta dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano nell’ambito del progetto Worlds of Journalism Study. A presentare la ricerca Marco Gambaro, professore di Economia dei Media e Sergio Splendore, professore di Sociologia della Comunicazione e il giornalista sportivo Franco Ordine. A moderare l’incontro Enrico Fedocci giornalista del Tg5.
“Abbiamo raccolto l’invito dell’università statale di divulgare un questionario che parte dal basso che vuole rispondere ad una domanda di fondo: come il giornalista si sente percepito oggi -ha spiegato Galimberti – . La ricerca ha ancora più senso in questi tempi visto che si è registra un’escalation di aggressività al punto che ho dovuto scrivere al comitato provinciale della sicurezza di Milano segnalando che il livello di pericolo per i giornalisti è molto alto. E la cosa peggiore è che dietro le manifestazioni dei no vax, no Green pass c’è la criminalità organizzata”.
Una situazione confermata anche da Fedocci che ha seguito molte manifestazioni organizzate per contestare l’obbligatorietà del certificato verde: “Il giornalista che dovrebbe essere un tramite dei fatti, nelle piazze viene messo in discussione massicciamente. Dicono che siamo asserviti e proni: siamo bersagliati ed è sempre più difficile riportare i fatti, con serenità”
Una sensazione confermata dagli 800 giornalisti della Lombardia che hanno risposto al questionario diffuso dall’università di Milano: “Abbiamo analizzato diversi fattori ha spiegato -Gambaro – e ne è emerso un quadro piuttosto complesso”
Si parla di ricerca delle fonti ma anche dei rapporti con la tecnologia, tutto contribuisce a cambiare e, a volte complicare, il mestiere dei giornalista: “Il 54% dice di usare i social media per scoprire eventi notiziabili e come fonti di informazioni o opinioni su determinate storie; solo il 15% analizza i dati, il 38% fa verifiche in rete a seguito di un’intervista, il 25%ottiene informazioni diverse da quelle raccolte dai colleghi. Oggi è molto complesso stabilire quali siano i confini dell’informazione giornalistica – ha detto ancora Gambaro – i contenuti generati dagli utenti sono moltissimi, l’integrazione delle fonti è più complessa. Possiamo tranquillamente dire che non è così scontato che il livello di un giornalista professionista sia più alto di quello di un professionista o dell’uomo della strada”
E questo è l’altro tema caldo rimarcato anche da Fedocci: “E’ necessario che ci sia il giornalista a mediare? I vigili del fuoco al Mottarone hanno fatto una diretta con strumenti potenti e questo ha provocato brusio tra i colleghi. Cosa deduciamo? Che il giornalismo del futuro sarà diverso da quello di oggi? Sì per forza. Gli influencer fanno le recensioni, le istituzioni comunicano di più e a volte meglio dei giornalisti. È arrivato il momento di interrogarsi su quale sarà il nostro ruolo in futuro”.
La risposta è arrivata in parte da Galimberti: “Dov’è il problema se gli operatori dei Vigili del Fuoco fanno quello che facciamo anche noi? Loro mostrano i fatti da una prospettiva diversa. Dobbiamo uscire dalla logica che le cose le può fare solo il giornalista. Noi non abbiamo il monopolio, il nostro ruolo è quello di intermediari .
Abbandoniamo gli show televisivi e smettiamola di fare le prime donne -ha detto ancora Galimberti – . La nostra professione è da rifondare con umiltà, non portando in giro un vangelo per conto terzi. Non chiediamoci perché la credibilità dei giornalisti è defunta – conclude Galimberti – Il fattore condizionante del lavoro giornalistico è la verità. Nella classifica presentata dai ricercatori dell’università non compare mai. I giornalisti non hanno avuto timore di rispondere nel questionario anonimo che i manager e i direttore responsabili condizionano il loro lavoro. Interpretano i desideri dei mandanti che sono i proprietari dell’azienda. Questo parametro lo trovo annichilente. Ma come si arriva alla verità? Con l’umidità di verificare sempre tutto. I valori e le convinzioni personali non possono essere la guida (ideologia) del nostro lavoro. La ricerca ce lo sta dicendo con impietosa durezza”.
Del cambiamento del prodotto prodotto giornalistico ha parlato invece Splendore:”Quando chiedo ai miei studenti come si informano mi rispondono che lo fanno attraverso la loro timeline di Instagram – Non possiamo non tenere conto di questo mutamento. I social hanno un ruolo fondamentale. Dalla fiducia nei giornalisti dipende l’acquisto e il consumo della notizia. Google è ormai un attore fondamentale dell’informazione non è più solo un motore di ricerca, finanzia il buon giornalismo e anche questo festival. Noi vorremmo che la nostra ricerca aiutasse il cambiamento e partecipasse anche allo sviluppo economico dei giornali”
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