Il prof che ama scrivere libri per ragazzi: “Nei miei racconti c’è sempre un po’ di Varese”
Giuseppe Di Luciano, 76 anni, di Varese, ha sempre avuto la passione per la scrittura e racconta: "I miei libri per parlare dei problemi e dei temi cari ai più giovani"
Insegnante per una vita, Giuseppe Di Luciano, 76 anni, di Varese, ha sempre avuto la passione per la scrittura. Autore di numerosi romanzi per ragazzi, nella sua carriera professionale ha trascorso molte ore dietro la scrivania, tra i banchi di scuola, al liceo e negli istituti tecnici, cogliendo dalla realtà che lo circondava spunti interessanti per i suoi volumi. Nelle sue pubblicazioni, infatti, si trattano moltissimi temi legati al mondo degli adolescenti: dal cyberbullismo ai rapporti tra giovani e adulti. Il suo ultimo libro si intitola “Chiamami Giorgio”, ed è stato pubblicato nel 2021 per Medusa Edizioni. È un romanzo ambientato nella periferia di una grande città, che racconta difficoltà e pericoli che spesso si trovano a dover affrontare ragazzi e ragazze. Ma nelle quindici pubblicazioni di questi anni, offre molti spunti di riflessioni. Abbiamo chiesto all’autore, abbonato a VareseNews, di raccontarci qualcosa in più di lui.
Che cosa significa per lei scrivere?
«Vuol dire soddisfare un’urgenza interiore che mi induce a comunicare con gli altri. E così, attraverso i personaggi e le vicende narrate, do una voce, un volto, un’anima ai miei pensieri, alle mie emozioni. E’ un bisogno intimo che, liberato di tutte le sue energie, svolge una funzione terapeutica sfidando i limiti della propria immaginazione e superando ogni difficoltà e frustrazione. Diversamente si avverte una sensazione di malessere, di incompletezza come un’aquila cui sia negata l’esperienza di librarsi in volo per volteggiare spensierata sempre più in alto fra nuvole e cielo azzurro. Scrivendo scopri parti di te che solitamente trascuri credendo appartengano a un altro. E’ come visitare una città con le sue vie e le sue bellezze camminando lentamente, passo dopo passo, senza alcuna fretta».
Perché si rivolge ai ragazzi piuttosto che a un pubblico adulto?
«Vi sono parole che ascoltiamo di frequente e che sembrano contraddistinguere la nostra attuale società: efficienza, esigenze di mercato, concorrenza, globalizzazione, profitto. A queste vorrei aggiungerne altre: dialogo genitori-figli, spirito di sacrificio, forza morale, rispetto di sé e degli altri, rifiuto di ogni violenza, speranze e delusioni dell’adolescenza, educazione alla legalità. Le mie opere sono permeate di questi temi. Per le persone cosiddette “mature”, possono apparire scontati, così scontati che è superfluo, se non banale, parlarne. Io mi rivolgo ai ragazzi perché li considero più ricettivi e disponibili ad ascoltarmi, a recepire il mio messaggio di non penalizzare mai l’umanità che è in ognuno di noi».
Nei suoi romanzi vi sono riferimenti a Varese?
«Certamente. E non potrebbero mancare tenuto conto che a Varese abito dai primi anni Settanta quando iniziai a insegnare. Nei miei romanzi vi sono episodi che si svolgono al cimitero di Giubiano, quartiere dove vivo, altri in via Maspero, altri ancora al Sacro Monte, alla folla di Malnate, in centro città. Varese del resto, con le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, non lascia indifferenti, ti affascina e diventa parte integrante di te stesso».
Diversi suoi romanzi sono scritti in prima persona. Da che cosa nasce questa sua esigenza di vedere la realtà con gli occhi di un adolescente?
«Con questa tecnica tento di capire, interrogando me stesso, i bisogni, i sentimenti e le tensioni che accompagnano la crescita di un ragazzo. Scelgo appositamente di cancellare me stesso dalla pagina e insieme con me la mia esperienza per creare un effetto di realtà. Lascio così la parola ai vari protagonisti che raccontano avvenimenti della loro vita in un momento delicato che segna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza».
Concorda con chi afferma che il lavoro dello scrittore comporta molta fatica?
«Scrivere è un’avventura esaltante, però implica un lavoro duro, contrassegnato da cancellature e rifacimenti, incertezze e difficoltà. E la godibilità del romanzo, quella che ce lo mostra come un’opera fluida, lineare, ben strutturata, è il prodotto di una conquista da guadagnarsi sul campo a prezzo di una ferrea disciplina e di una dedizione totale. E’ come comporre un puzzle, tutti i tasselli (trame, tematiche, personaggi, scelte linguistiche) devono incastrarsi tra loro fino a ottenere il risultato desiderato. L’opera narrativa non è un prodotto industriale ma artigianale che vede lo scrittore riconoscersi e ritrovarsi ed egli avverte la perdita di sé quando il libro è finito, come dire che vive durante la creazione e che dopo si sente vuoto, privo di linfa vitale, estraneo a sé e agli altri».
Per scrivere che cosa occorre?
«Tempo a disposizione, solitudine, determinazione, un messaggio da comunicare e ovviamente la conoscenza della lingua e la capacità di impiegarla a seconda delle esigenze narrative».
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