Il “virtuosismo pianistico” di Roberto Cappello alla Stagione concertistica dell’Insubria
Appuntamento in presenza, venerdì 18 marzo alle ore 18 nell’Aula Magna di via Ravasi a Varese; in programma la «Suite española» di Albeniz, «La Valse» di Ravel e la «Rhapsody in Blue», funambolico capolavoro di Georges Gershwin
Con il “Virtuosismo pianistico” dello straordinario Roberto Cappello, la XXI stagione concertistica dell’Università dell’Insubria torna in presenza, venerdì 18 marzo alle ore 18, nell’Aula Magna di via Ravasi 2 a Varese (ingresso libero, con distanziamento e obbligo di Super Green Pass).
Con all’attivo più di 2000 concerti in tutto il mondo, vincitore del prestigioso Premio Busoni di Bolzano, ospite regolare delle maggiori istituzioni concertistiche italiane (Teatro alla Scala, Santa Cecilia) ed estere, Cappello offre un viaggio tra colori e immagini musicali con celebri pagine spagnole (la «Suite española» di Albeniz) e francesi («La Valse» di Ravel) fino alla «Rhapsody in Blue», funambolico capolavoro di Georges Gershwin.
Il cartellone della stagione diretta dal maestro Corrado Greco prosegue con altri tre concerti: Quartetto Libertango con un«Omaggio ad Astor Piazzolla» l’8 aprile, il trio Luisa Sello, Claude Hauri e Corrado Greco il 13 maggio; pianoforte a quattro mani con Sandra Landini e Francesca Amato il 10 giugno; www.uninsubria.it/stagione.
IL COMMENTO DI ROBERTO CAPPELLO AL PROGRAMMA DEL CONCERTO
La Suite Española op. 47 è una delle composizioni maggiormente conosciute di Isaac Albéniz, musicista catalano che ci propone un percorso attraverso la Spagna tramite il rimando alle melodie e ai ritmi tipici dei territori idealmente percorsi. In un clima romanticamente salottiero influenzato dagli indirizzi della musica francese del tempo, l’Autore accompagna l’ascoltatore attraverso otto località della Penisola Iberica, includendo pure Cuba, in un clima danzante e del tutto coinvolgente. La raccolta, datata 1886, inizialmente comprendeva quattro brani e, soltanto nel 1912, dopo la morte dell’Autore, contemplò altre pagine apparse in precedenza. La suite, caratterizzata da un evidente virtuosismo di stampo lisztiano, ha conosciuto una vasta fortuna anche grazie alle diverse trascrizioni, soprattutto per chitarra, rese note da esecutori del calibro di Andrés Segovia.
Il nostro viaggio tra colori e immagini musicali prosegue con La Valse di Maurice Ravel, poema coreografico nato per orchestra ed eseguito per la prima volta nel 1920 a Parigi sotto la direzione di Camille Chevillard. Il compositore era stato indotto a tale lavoro da Sergej Diaghilev, intenzionato a metterlo in scena come balletto. L’idea, tuttavia, non era piaciuta all’impresario dei Balletti Russi che scartò il progetto, recuperato soltanto anni dopo nel 1829 e allestito con un’interprete d’eccezione, Ida Rubinstein. La trascrizione dell’opera per pianoforte, e pure per due pianoforti, avvenne sempre nel 1820 ma, ancor oggi, viene proposta abbastanza raramente, considerata la difficoltà tecnica e interpretativa che impone all’esecutore. Si tratta di un gioioso nobile omaggio al re del valzer, Johann Strauss: omaggio contraddistinto da due sezioni differenti che si dipanano in un vorticoso crescendo di sonorità e ritmi, per sfociare in una sorta di orgiastico baccanale. Viene presentata, in sequenza, una serie di danze che rimandano ad autori, quali Schubert, vissuti nella Vienna ottocentesca e il gioco di citazioni porta progressivamente alla tragica distruzione del valzer stesso, simbolo di un mondo ormai lontano e definitivamente scomparso.
Ultima tappa di questo percorso, la Rhapsody in Blue, capolavoro di Georges Gershwin, scritto su commissione di Paul Whiteman, che sintetizza le varie tradizioni della musica colta e popolare in un turbinoso brano caratterizzato da ritmi e melodie che l’Autore stesso definì magistralmente «una sorta di multicroma fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana». Nella composizione, Gershwin utilizza cinque temi differenti venendo a creare una sintesi perfetta tra la tradizione musicale europea e il mondo jazzistico d’oltreoceano. Grazie anche ai richiami alla cultura africana, l’Autore riesce infatti a dar vita a uno stile personalissimo che risultò congeniale ai gusti del pubblico americano di quegli anni e il cui fascino rimane intatto per gli ascoltatori di ogni tempo.
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