La nuova via della seta, il modello cinese di economia globale
L’Oriente scalpita per minare l’egemonia dei paesi occidentali e lo fa con il suo giocatore più forte: la Cina. L'analisi del Liuc-Finance & Investment Club

L’autore di questo articolo è Leonardo Di Blasio del Liuc-Finance & Investment Club dell’Università Liuc di Castellanza.
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CHE COS’È E QUANTO VALE LA VIA DELLA SETA
La nuova Via della Seta, formalmente detta “Belt and Road Initiative” (BRI), è un’ambiziosa strategia di sviluppo proposta dal presidente cinese Xi Jinping per rilanciare il commercio e la crescita economica tra la Cina e il resto del mondo. La via della seta non è soltanto una rotta marittima, ma una rete globale attraverso cui l’enorme produzione industriale cinese viene distribuita in tutto il mondo sulle navi container della Cosco shipping, la compagnia di spedizioni cinese, fino a una gran quantità di porti che la Cina ha comprato o costruito direttamente. Basti pensare che solo nel Mar Mediterraneo sono cinesi il porto del Pireo in Grecia, il porto di Valencia, il 40% del porto di Vado Ligure e di Bilbao, il 26% di quello di Marsiglia, Port Said nel canale di Suez, il porto di Tangeri, Aifa e Ashdod in Israele. Ma la via della seta opera anche nel senso inverso e rifornisce la Cina dell’enorme quantità di materie prime di cui Pechino ha bisogno, fin dagli angoli più remoti del mondo. In termini monetari la BRI vale quasi 4 mila miliardi, due volte il PIL italiano.
(Nella foto la visita della delegazione cinese nel settembre del 2018 alla Lu-Ve spa di Uboldo)
IL RUOLO DEGLI USA
Come hanno fatto gli Stati Uniti a farsi sfuggire di mano l‘America Latina che è da sempre sotto la loro esclusiva area di influenza? Cos’ha in più la Cina rispetto agli Stati Uniti tanto da sedurre anche i paesi del Sudamerica? Thiago De Aragao, l’esperto a cui si affida anche il Congresso degli Stati Uniti per comprendere l’evoluzione dello scenario sudamericano, afferma: «Gli Stati Uniti o le banche internazionali come l’FMI (fondo monetario internazionale) e la Banca Mondiale mettono sempre delle condizioni alla concessione dei prestiti, chiedendo cambiamenti strutturali, più democrazia, lotta alla corruzione e tagli alla spesa pubblica, tutte condizioni spesso impossibili da accettare per i governi stranieri richiedenti prestiti. La Cina invece ha un approccio molto più orientato agli affari bilaterali il che piace molto ai governanti sudamericani».
La Cina è già oggi il principale partner commerciale della maggior parte dei paesi dell’America Latina. Inoltre, può offrire linee di credito a questi paesi, accettando di essere pagata in materie prime nel caso in cui i governi non siano in grado di ripagarle. Il vantaggio consiste proprio nell’utilizzo delle materie prime come strumento di pagamento. In tal modo, la Cina riesce a reperirle ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato. Ciò rappresenta un incentivo per i Paesi emergenti a fare affari con la Cina, dato che nessuna banca occidentale accetterebbe di elargire prestiti con la sola garanzia di essere ripagati in ferro, rame o acciaio. Questo garantisce molta più flessibilità al paese che chiede il prestito nel ripagarlo. Il fatto che il partito comunista partecipi in tutte le grandi banche e aziende cinesi permette a loro di fare affari portando al tavolo negoziale varie aziende di settori diversi e farle giocare di squadra. Ovviamente questo sarebbe impossibile per gli Stati Uniti o l’Europa, i cui governi non hanno la capacità di obbligare le banche e le imprese a investire in un paese per far ottenere profitti ad un’altra azienda. L’unica possibilità per gli occidentali di sfidare la Cina è offrire grandi linee di credito agli stati in via di sviluppo, opzione che però sembra per il momento lontana dalla realtà.
LA CINA E L’AFRICA
Se in Sudamerica la Cina sembra inarrestabile, in Africa la sua presenza è imperante. Il commercio mondiale viaggia per il 90% via mare e chi controlla gli stretti controlla gli scambi mondiali. Ad esempio, nello stretto di Bab El-Mandeb, 27 km d’acqua che dividono lo Yemen e lo stato di Gibuti, dove transita il 20% di tutto il commercio marittimo mondiale che unisce Asia e Europa, la Cina ha inaugurato nel 2017 la sua unica base militare al di fuori del suo territorio. Risulta evidente come il controllo delle rotte commerciali stia diventando sempre più una questione strategica, non più un appannaggio del paese a stelle e strisce. Stringendo forti legami economici con l’Africa, la Cina è in grado di attirare un intero continente nella propria sfera d’influenza. Illuminanti le affermazioni del presidente keniota Uhuru Kenyatta, sostenitore di prim’ordine del credito cinese, il quale non si è lasciato sfuggire la possibilità di lanciare talvolta anche delle frecciate al mondo occidentale: «Non abbiamo bisogno che vengano a darci lezioni su quello che serve al nostro paese, abbiamo bisogno di partner che ci aiutino ad ottenere quello che chiediamo e la nostra partnership con la Cina non è il tipo di relazione in cui loro vengono e ci dicono di cosa abbiamo bisogno. È una relazione tra amici che lavorano insieme per lo sviluppo del Kenya, avevamo bisogno di questa struttura per rispondere alle necessità di una popolazione in aumento e la Cina era lì quando abbiamo chiesto sostegno pronta a lavorare con noi spalla a spalla e, questo è quello che noi chiamiamo un amico».
Le dichiarazioni del presidente ci danno la misura del bacino a cui il paese del dragone può mirare, creando vie commerciali laddove il sistema economico occidentale non ha mai preso veramente piede.
LA STRATEGIA DI XI JINPING
Sono anni che circola la notizia secondo la quale la banca centrale cinese sia vicina al via libera per l’adozione di massa dello Yuan (valuta nazionale cinese) digitale detto anche e-Yuan. Stando agli ultimi dati della banca popolare di Cina, l’e-Yuan è già operativo per il 15% della popolazione, concentrata in dodici grandi città (tra le quali ci sono Pechino, Shanghai e Shenzen). A gennaio 2022 gli utenti che avevano effettuato almeno una transazione utilizzando l’e-Yuan erano 260 milioni. Secondo Cornelia Tremann, consulente indipendente e rappresentante del Senegal e del Gabon per la “China Africa Advisory”, la strategia del governo cinese presieduto da Xi sarebbe quella di rendere lo Yuan digitale la piattaforma esclusiva negli scambi commerciali tra il continente africano e il dragone.
Uno yuan digitale potrebbe quindi facilitare e accelerare i flussi commerciali e finanziari interafricani e Cina-Africa. Molte valute africane sono instabili e soggette a svalutazioni, la conversione delle valute africane in altre valute africane o nel dollaro Usa può essere costosa e complicata. Anche se i paesi africani non adottassero lo Yuan, la Cina potrebbe comunque sfruttare il suo radicamento nell‘ecosistema finanziario africano per plasmarlo secondo gli interessi economici di Pechino. Potrebbe esercitare il controllo sull’architettura finanziaria digitale dell’Africa, ad esempio, vendendo o noleggiando la tecnologia sottostante ai governi africani, per creare valute locali interoperabili esclusivamente con lo Yuan. Il potenziale sviluppo di una nuova rete globale di sistemi di pagamento digitali, con controllo e supervisione centralizzati a Pechino, è più che mai reale. Una volta che la Cina avrà rodato e approvato definitivamente la sua moneta digitale senza intoppi nell’economia della repubblica popolare, l’Africa potrebbe essere la sua prossima tappa.
LA RISPOSTA DELL’OCCIDENTE
Gli Usa e l’Europa sono ben lontani dall’avere una reale strategia di contrasto capace di opporsi alla politica economica espansionistica della Cina. Per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America al momento è stato solo proposto il quadro legislativo dal presidente Joe Biden per l’introduzione della “Build back better” per allo sviluppo delle aree e dei paesi emergenti. Neanche l’Europa si è fatta attendere, deliberando il progetto strategico “Global Gateway” mirando sostanzialmente agli stessi obiettivi dei colleghi americani, ma allo stesso modo anche il progetto europeo non ha stanziato ancora un solo euro. La narrativa è ancora quella di una previsione di stanziamenti.
Siamo forse andando verso l’inizio di una nuova sfida tra Occidente e Oriente? L’occidente ha sofferto la sindrome della pancia piena una volta “sconfitta” l’unione sovietica, ignorando eccessivamente gli sviluppi orientali? La situazione appare ben chiara, se durante la guerra fredda l’occidente aveva dalla sua parte la potenza dell’economia liberista, ora si delinea uno scenario assai diverso in cui l’Oriente sembra scalpitare per minare l’egemonia dei paesi di ponente e lo fa con il suo giocatore più forte: la Cina.
FONTI
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/belt-and-road-2020-lanno-della-svolta-27622
https://www.csis.org/analysis/latin-america-important-chinas-foreign-policy
https://www.ilsole24ore.com/art/cina-grande-crescita-silenziosa-yuan-digitale-AEufHqDB
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/connettivita-globale-modello-europa-32501
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