Il libro parlato di Stevie Wonder
Stevie abbandona il completo elegante per caffettano e treccine
Secondo capitolo della Golden Age di Stevie Wonder iniziata quello stesso anno con Music of my mind. Come avevamo visto, Curtis Mayfield e Marvin Gaye avevano trasformato il soul inserendoci i temi sociali della popolazione afroamericana: con questo disco Stevie li seguì senza rinunciare però a qualcuna delle sue celeberrime ballate d’amore, come quella che apre il disco (è famosissima ma magari in pochi hanno notato che l’inizio non è cantato da Wonder!). Ma già Superstition invita a superare le paure per avere più potere, e soprattutto Big Brother è un vero e proprio atto d’accusa contro quei politici che si vedono solo in campagna elettorale salvo poi non fare nulla per migliorare la qualità della vita nei ghetti. Musicalmente vi è un ulteriore uso delle tastiere elettroniche, ed è da notare come la sua volontà di fare tutto di solo, suonando tutti gli strumenti e componendo tutte le canzoni, lascia spazio all’utilizzo di collaboratori: sua moglie Syreeta compone tre testi, e fra i musicisti sono da ricordare almeno Jeff Beck, Ray Parker Jr. e il sassofonista David Sanborn. Fu un grande successo ed un altro di quei dischi che dimostrarono che il Rhythm’n’Blues poteva attirare anche il grande pubblico del rock.
Curiosità: Wonder aveva chiamato il grande chitarrista Jeff Beck come sessionman, ma alla fine lo usò solo in un pezzo. In una pausa delle prove Jeff si mise alla batteria e suonò una ritmica che a Stevie piacque tanto che iniziò a improvvisarci sopra alle tastiere: ne uscì la prima demo di Superstition. Beck non fu accreditato come autore, ma ebbe il permesso di inciderla l’anno dopo col suo trio Beck, Bogert & Appice.
La Rubrica 50 anni fa la musica
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