Simon Wiesenthal cacciatore di nazisti non per vendetta ma per giustizia

Con un'interpretazione intensa Remo Girone ha portato sul palco del Teatro Apollonio la storia di Simon Wiesenthal. Una grande lezione sul dovere di ricordare

Teatro varie

È la storia di Friedrich Niemand, “Federico Nessuno”, ad aprire “Il cacciatore di nazisti”, la vita di Simon Wiesenthal nell’adattamento teatrale di Giorgio Gallione, portato sul palco del Teatro Apollonio di Varese da Remo Girone.

Una sera del 1939 la Gestapo bussò alla porta di casa di Federico. Lui e la sua famiglia vennero presi e portati in uno scantinato. Federico aveva appena sei anni quando vide i nazisti massacrare i suoi genitori. Subito dopo, applicarono anche a lui il protocollo riservato agli ebrei: torture, botte e supplizi. E negli anni a venire subì nei campi di sterminio ogni tipo di esperimento medico, compresa la castrazione.

Quando finì la guerra, Federico era ancora un bambino, ma non aveva più capelli, era cieco, aveva perso tutti i denti e l’uso della parola. Ritornò a parlare grazie all’amore tenace e incondizionato di una infermiera americana e ventidue anni dopo riconobbe dalla voce il medico che a Birkenau lo aveva castrato.

«La vita, anche la più sofferta, non è piena di magia?» si chiede il protagonista, quasi in cerca di una consolazione di fronte a tanta crudeltà. Federico non era l’unico che cercava giustizia in giro per l’Europa, c’era anche l’ebreo polacco Simon Wiesenthal, anch’egli sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, dove aveva perso tutta la sua famiglia. «Sopravvivere è un privilegio che comporta dei doveri – dice il cacciatore di nazisti -. Imparare significa difendersi. Solo col racconto della memoria e di ciò che è stato il ricordo si tiene vivo». Nel dopoguerra Wiesenthal fonderà a Linz, in Austria, il Centro di documentazione sui crimini di guerra nazisti e dedicò tutta la sua vita alla localizzazione e identificazione dei criminali nazisti latitanti.

Sul palco Girone è circondato da colonne di schedari da cui estrae testimonianze, storie di vittime e carnefici. Un archivio sterminato che contiene ben 22.500 nomi di colpevoli dello sterminio. Wiesenthal ne ha consegnati alla giustizia 1.100. Nomi importanti, tra cui: Adolf Eichmann, l’ideatore della “soluzione finale”, Franz Stangl, lo spietato comandante di Treblinka e Sobibor, e Karl Silberbauer, il sottufficiale della Gestapo che arrestò Anna Frank e tutta la sua famiglia. A guerra finita il diario della ragazza venne ritrovato ancora intatto sul pavimento della casa di Amsterdam, così come l’aveva gettato il soldato della gestapo dopo aver svuotato la borsa di Otto Frank, papà di Anna, alla ricerca di oro e denaro.
Storie straordinarie come quella di Masha Rolnikaite, la bambina ebrea lituana che imparò a memoria i brani del suo diario per poi riscriverlo a guerra finita fornendo così una prova fondamentale contro i colpevoli della strage degli ebrei di Vilnius.

Wiesenthal mette in guardia gli spettatori sul pericolo del razzismo strisciante e del ritorno di un antisemitismo diffuso, che riemerge puntualmente come un fiume carsico dalla storia. L’unico antidoto è avere memoria di ciò che è stato: 
«Non dimenticate mai, mi fido di voi».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 24 Febbraio 2023
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