Ecco perché Ritiro e Ansia Sociale peggiorano d’estate
Le occasioni più strutturate di socializzazione diminuiscono e le difficoltà di mostrare il corpo. Dagli esperti di Sakidō i consigli su come cogliere segnali di apertura
Foto di Avi Chomotovski da Pixabay
La scuola che finisce, i pomeriggi al lago, le vacanze, le feste, gli amici: per molti adolescenti l’estate è il periodo migliore dell’anno, ma non per tutti. Anzi. La bella stagione è infatti un’importante occasione di socializzazione e condivisione, per chi un gruppo già ce l’ha.
Per chi invece fatica a costruirselo, rappresenta un momento di maggiore solitudine e isolamento.
Cosa cambia d’estate?
«Nella nostra esperienza di Sakidō, l’estate è sempre stato un periodo un po’ particolare per chi vive in una condizione di ritiro sociale – dice lo psicologo del progetto Matteo Zanon – soprattutto nelle sue fasi più acute, perché coincide un po’ con un allentamento della presa, una pausa».
Le prime a saltare sono le occasioni più strutturate di socializzazione, che tendono a diminuire notevolmente in coincidenza dalla fine dell’anno scolastico. E poi anche i servizi di cura – come per esempio i laboratori e i percorsi in piccolo gruppo attivati dal progetto – continuano ma in modalità più soft.
«La bella stagione inoltre coincide con tutta una serie di “cambi di attivazione” – continua Zanon – D’estate i ragazzi sono molto più portati a stare all’aperto, a uscire, a divertirsi. E alle volte, il confronto con questo stile di vita, porta chi vive in una condizione di ritiro sociale a rifugiarsi ancora più volentieri nelle modalità relazionali ritenute più confortevoli, che sono principalmente quelle virtuali».
La questione del corpo
A tutto questo si aggiunge un’altra nota dolente della bella stagione: il corpo e la sua esposizione.
Dice ancora Zanon: «Per molti dei ragazzi e delle ragazze in ritiro, la relazione con il proprio sé corporeo è estremamente complicata. Teniamo conto che a volte c’è dell’autolesionismo, e quindi la paura di mostrarne i segni. Altre volte c’è una fatica nel riconoscersi in un corpo percepito come diverso, alieno, e la conseguente difficoltà nel mostrarlo pubblicamente. Questo aumenta il desiderio di reclusione e la volontà di proteggersi, anche dagli sguardi degli altri».
Diminuiscono le occasioni di incontro
La bella stagione non mette alla prova solo chi vive una condizione acuta di ritiro, ma anche chi si trova in una situazione borderline, prodromica.
A soffrire il cambio di passo estivo, infatti, sono anche quegli adolescenti che – nonostante la forte ansia sociale e la fatica relazionale – sono comunque riusciti ad andare a scuola o a mantenere una presenza più o meno regolare ad altri appuntamenti sociali organizzati come, per esempio, l’attività sportiva.
«Il venire meno di occasioni strutturate di socializzazione, come la scuola, in cui – volente o nolente – i ragazzi devono sforzarsi di stare in mezzo agli altri, il muscolo relazionale un po’ si assopisce, sottolineando la distanza dai pari».
Quando l’estate è occasione per sperimentare
Ma è così per tutti? E soprattutto, l’estate rappresenterà per sempre un momento di difficoltà acuta per chi manifesta queste forme di disagio? Zanon dice di no e che dipende da quale fase del percorso stanno attraversano i ragazzi.
«Fortunatamente abbiamo avuto anche dei casi in cui l’estate ha rappresentato una vera e propria fioritura. Si trattava di ragazzi e ragazze che avevano già fatto un pezzo significativo di lavoro durante l’inverno, partecipando al percorso di psicoterapia e ai laboratori in piccolo gruppo, e che si trovavano quindi ad affrontare l’estate con un po’ di sicurezza in più. Alcuni di loro hanno anche deciso di andare in vacanza con la famiglia, in un luogo che reputavano sicuro e adeguato. Altri sono riusciti ad aprirsi a qualche nuova esperienza, magari hanno conosciuto anche qualcuno. Hanno preso l’estate come un’occasione per sperimentare e questo ha dato loro un po’ di sicurezza aggiuntiva e la sensazione di poter – piano piano – conquistare dei pezzettini di mondo in più».
Quindi come ci si comporta?
Ma quindi come comportarsi quando in casa ci sono ragazzi che vivono questa situazione?
Il consiglio di Zanon è sicuramente di «non forzare, soprattutto i ragazzi che vivono una condizione acuta di isolamento. Restare però in ascolto e supportare gli slanci, più o meno timidi, verso l’esterno. A seconda della fase che i ragazzi stanno attraversando, è possibile invitarli a brevi vacanze o week end con la famiglia, se se la sentono. Proporre piccole attività per cambiare aria e fare qualche nuova esperienza, rispettando sempre i loro tempi e i loro modi». E qui il ruolo dei genitori è fondamentale.
Se il progetto Sakidō o la terapia possono preparare la strada, sta poi ai genitori riuscire a cogliere i segnali – spesso impercettibili – di riapertura, ed eventualmente predisporre delle modalità per accogliere questi segnali e dare loro seguito, perché diventino un vero e proprio percorso.
È semplice? »No, non è semplice – dice Zanon – ed è per questo che riteniamo che i genitori debbano essere seguiti a loro volta, in modo da poter mettere in campo le competenze più adatte. Per questo l’invito per loro è di rivolgersi sempre a uno specialista o a noi del progetto Sakido”.
Sakidō è il progetto finanziato dalla Fondazione Con i Bambini che si occupa di Ritiro sociale in adolescenza in provincia di Varese. Per contatti e informazioni www.sakido.it
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